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L'accorgersi originale di una presenza inesorabile


Come suggerisce Aristotele se venissimo alla luce proprio in questo momento, il primo sentimento, il primo fattore della reazione di fronte alla realtà, sarebbe la meraviglia e lo stupore delle cose; saremo colpiti dalle cose esistenti, di ciò che c'è e dalla luce di una “presenza”. Allo stesso modo questo vale anche per la conoscenza dell'altro.
Se vedo un volto, prima di ogni altra cosa colgo l'espressione complessiva che il volto stesso mi rivolge. Il primo fattore della nostra reazione di fronte alla realtà è quindi la percezione originale di un “dato”. Il dato mobilità conseguentemente tutti i fattori della personalità. Non a caso la parola dato si nomina sotto il segno del participio passato del verbo dare, che implica un soggetto capace di dare.
La parola dato contiene quindi un'attività, davanti alla quale siamo portati a riconoscere la nostra ricettività; siamo quindi portati passivamente a ricevere, a riconoscere. È come un bambino che si risveglia alla coscienza di sé nel sentire il richiamo che gli rivolge l'amore della madre. Accorgersi di una presenza, che non dipende dal nostro io, ma dalla quale l’io dipende, è il punto di partenza da cui si muove la conoscenza di Dio. Ciò che l’io percepisce per prima cosa è una presenza, più tardi inizia a conoscersi per mezzo di essa. Si arriva a se stessi in quanto dato, grazie al “passo della riflessione” sulla già venuta percezione della realtà come cosa e come cose. Allo stesso modo la presenza della realtà si mostra a noi come presenza di altro da noi; così la prima cosa che l’io avverte è l'alterità di questa cosa che c'è, solo dopo il l’io identifica se stesso come qualcosa distinta dalle altre cose.
Da questa estasi, dove la meraviglia di ciò che c'è spinge oltre le cose, si origina il concetto della vita come dono, e noi, senza questa coscienza, non possiamo utilizzare ciò che c'è dato senza distruggerlo. L'esistenza umana affonda le radici nel mistero dell'essere di un altro. Così noi sperimentiamo il nostro essere: siamo in piedi perché sostenuti da altro, siamo perché siamo fatti. Dopo scoperto questo c'accorgiamo che il primo atto di libertà è accettarci per quello che siamo, ma noi non siamo da noi stessi e quindi accettandoci, accettiamo anche la dipendenza da chi ci dona a noi stessi.
La dipendenza originale dell'uomo è descritta dalla Bibbia in un dialogo tra Dio e Giobbe. Se l'uomo rinnega Dio, deve rinnegare anche l'esperienza in cui non si dà coscienza di sé senza evidenza dell'altro, e visto che il primo sentimento dell'uomo è quello di essere di fronte a una realtà che non è sua, che esiste indipendentemente da lui e da cui tutto dipende, lo stupore deve avere un significato conoscitivo.
Chi è aperto a ricercare un significato ultimo della vita, parte dallo stupore di provvidenza originaria, in questo modo prende avvio la ricerca dell'assoluto sul quale religione si fonda. Il primo sentimento dell'uomo non è la paura, ma una attrattiva; la paura viene in un secondo momento, come riflesso del pericolo percepito che l'attrattiva venga meno. Temiamo comunque di perdere qualcosa, quando anche solo per un attimo l'abbiamo avuta e amata, e nessuno di noi teme di perdere cose che non ama e non gli interessano.

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