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L’immagine fotografica come interpretazione



Anche un'analisi superficiale del meccanismo creativo dell'immagine fotografica mostra quanto questa costituisca un'interpretazione, codificata, soggettiva e settoriale della realtà che rappresenta.
Non occorre soffermarsi sugli aspetti tecnici di tale affermazione: è sufficientemente chiaro che quello fotografico è un processo creativo che, anche se conserva forti tratti referenziali, si costruisce con l'apporto determinate dell'autore, del mezzo tecnico, del campo di interazione formale offerto dalla situazione fotografica.
Ciò con la fotografia riacquista nelle scienze sociali e in particolare in etnografia e in antropologia il suo carattere di descrizione e di descrizione densa. Certo essa possiede una forte efficacia documentaria: testimonia con verosomiglianza la realtà e mantiene nella rappresentazione evidenti analogie. La fotografia non assume la realtà ma non la nega totalmente come altri mezzi e sistemi di rappresentazione fanno. Tale carattere è utile in etnografia e in antropologia nell'ambito di pratiche, cioè, che non consentono l'invenzione della realtà, né una su a mera traduzione intellettuale, di tipo astratto, ma comportano una restituzione autorialmente e dialogicamente connotata di suoi tratti oggettivi. La fotografia può essere considerata addirittura in questa prospettiva, metafora del lavoro scientifico, di un'attività di costruzione intellettuale che non può prescindere dal mondo sensibile e dalle regole di rapporto e di relazione. Essa diviene importante così in quanto documento della cultura osservante, delle sue modalità di sguardo, del suo telos ideologico, dei suoi vettori intellettuali e morali, come testimonianza di una relazione e della formazione, tramite questa, di un testo: in quanto attestato, in definitiva, dell'attività conoscitiva specifica dell'antropologia, dei suoi poli costituitivi, dei suoi codici.
La fotografia è dunque mezzo indispensabile per l'esplorazione della nozione complessa di campo che Faeta propone: prassi e oggetto, al contempo, essa rivela gli scarti esistenti tra realtà e conoscenza, mette a nudo i campi di tensione intercorrenti intorno all'osservazione, consente di valutare le tecniche attraverso cui l'altro acquista la sua dimensione di terzo.
Per superare i criteri neopositivistici tuttora presenti nel campo disciplinare occorre transitare da un'etnografia e un'antropologia fondate sull'osservazione oggettivante e sul dato a un'altra basata sulla comparazione di modelli soggettivi e sulla valutazione dei processi; da pratiche che presuppongono e teorizzano un'ontologica separatezza della coscienza critica ad altre che siano in grado di evidenziarne il carattere storico e di assumerla come oggetto d'interesse contemporaneo a quello della realtà nativa.

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