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L'impulso istintivo di massa


La stessa concezione del partito si è evoluta; nel dopoguerra c’era il partito di massa ossia una struttura fortemente organizzata e centralizzata dotata di efficienti apparati e ben presente e radicata sul territorio, a questi partiti aderiscono migliaia di persone e sono capaci di promuovere coinvolgimento dei propri iscritti, di incentivare la crescita politico-culturale degli aderenti, di fungere da promotore di una fitta rete di associazioni,circoli, organizzazioni politiche, ricreative e culturali.
A partire dalla fine dell’800 si diffonde l’idea di un’associazione politica presente su tutto il territorio e coordinata centralmente; questa concezione risponde alle caratteristiche della società industriale. Per conquistare le masse diventa necessario dare vita ad un apparato di gruppi di aspetto democratico costituendo in ogni quartiere cittadino un gruppo elettorale.
Il nuovo modello di organizzazione non si regge sui tradizionali comitati, ma sulla sezione territoriale.
In Italia il partito di massa per antonomasia è il Pci che già nel 1921,alla sua nascita, diffonde nelle masse la coscienza rivoluzionaria per la lotta del proletariato; il partito e le masse sono elementi che permettono al giovane partito di strutturarsi e raggiungere nel 1925, 25.000 iscritti.
Ogni iscritto ha il dovere di approfondire la conoscenza del marxismo-leninismo e contribuire alla conquista di nuovi militanti ed essere attivo nelle organizzazioni di massa; il partito si impegna in questi obiettivi e nel 1945 può contare su 1 milione e 800.000 iscritti, mentre nel 1950 il numero di iscritti supera i due milioni.
L’altro grande partito ossia la Democrazia Cristiana ha chiara l’importanza dell’organizzazione, della presenza nei vari settori della società e della capacità di mobilitazione; nel 1945 De Gasperi afferma che il partito si deve dare una struttura organizzativa industrializzata per conquistare le grandi masse e nel 1948 si conta su un milione di iscritti, ma la Dc diviene un partito di massa solo a partire dalla sconfitta elettorale del 1953 dove il partito pur mantenendo la maggioranza perde l’8% dei voti  e ciò è attribuito a insufficienze organizzative, a una ridotta penetrazione sociale, a un apparato stanco e macchinoso, all’incapacità di rappresentare e promuovere iniziative in grado di raccogliere una vasta adesione popolare, è da questo momento che il partito si rafforza centralmente e assume i suoi controlli sulla periferia, con Fanfani il partito arriverà ad oltre 1 milione e 600.000 iscritti nel 1959.
Quindi sia il Pci che la Dc rientrano nel modello di partito di massa a cui aspirano quasi tutti i partiti italiani, anche se solo il Psi si avvicinerà in quanto il Msi nato come “confraternita di reduci” oscilla fra un movimentismo che si richiama all’esperienza della Repubblica di Salò e un’anima corporativa che si rifà al regime mussoliniano.
Anche il movimento sociale guarderà ai partiti di massa, anche il Pri si basa su associazioni, cooperative e sindacati e sprona i suoi iscritti ad associarsi per creare cooperative repubblicane e da semplice partito d’opinione assume la fisionomia di forza politica organizzata con un proprio moderno apparato, un vero e proprio mini partito di massa.
Negli anni ’50 e ’60 quasi tutti i partiti italiani aspirano a diventare partiti di massa tranne il Partito liberale e il Partito radicale che sono ideologicamente lontani da un’organizzazione ramificata sul territorio e articolata in livelli gerarchici; Benedetto Croce nel 1947 affermava che la quantità non deve sommergere la qualità, infatti i liberali non avevano un’organizzazione capillare.

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