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L’antropologia della religione


Si inserisce in una tradizione materialista, svincolata da interpretazioni teologiche, segnata per molto tempo dalle religioni del Libro: per gli occidentali è difficile staccarsi dall’idea di una religione monoteista, legata a un testo, esclusiva, cui si accede grazie a una conversione. Ovunque l’uomo ha cercato di raggiungere le verità nascoste che stanno al di là della percezione normale, formulando ipotesi sulle energie che reggono il mondo e cercando di rendere visibile l’invisibile, utilizzando concetti come energia, forza, volontà, anima, slancio vitale, soffio vitale, estranei ai pensatori occidentali, non avendo il monopolio della metafisica, intesa sia come ricerca delle cause nascoste al di là della percezione immediata sia come speculazione sistematica.
I concetti di fede e di credenza sono tanto più difficili da gestire quanto più la religione sembra coestensiva alla cultura nel suo insieme. Una buona parte della religione è costituita da pratiche meccaniche e da tecniche, da protocolli per cerimonie, sacrifici e preghiere: fino agli anni ’60, le rappresentazioni e le pratiche religiose servivano sia alla coesione sociale e alla struttura del potere sia a rispecchiare una visione del mondo naturale e sociale. Una credenza religiosa (secondo Durkheim) è sempre vera quando svolge una funzione sociale, i riti esprimono e rafforzano la solidarietà di gruppo, di modo che il culto è in realtà dedicato al gruppo stesso. La divisione tra sacro e profano, però, dal momento che la società non è omogenea, solleva discussioni, dal momento che non si trova un punto d’accordo per la definizione di sacro.
Oggi la religione viene messa in relazione al processo di legittimazione dell’autorità, alle espressioni di risentimento dei dominati, agli interessi di classe e alle strategie dei singoli, il rito si presenta come un prolungamento della lotta politica, o come vettori di informazione o come espressioni di una visione del mondo.
Tutti i popoli classificano in varie categorie le specie, gli elementi, le sostanze della natura e i fenomeni climatici: secondo Sapir e Whorf, esiste una relazione necessaria tra le categorie e la struttura del linguaggio e il modo in cui gli esseri umani apprendono il mondo.
Se per un verso il rito non si confina nella sfera religiosa, non esiste religione senza rito, a cominciare dai riti di passaggio, che passano attraverso fasi precise scandendo il ciclo dell’esistenza degli individui e strutturando la società, passano attraverso iscrizioni irreversibili sul corpo, e si considera spesso il funerale come l’ultima fase del rito di passaggio. In ogni caso è necessario dare un senso di finitezza del corpo individuale, mentre il corpo sociale sopravvive, con una forte influenza di Freud su questo tema, nella scuola americana della cultura e personalità per esempio. L’interesse di queste ricerche consiste nello sforzo di articolare il livello individuale e quello collettivo, superando l’idea di una causalità a livello del singolo: se pure la religione spesso risponde ai bisogni dell’individuo, non è per soddisfare questi bisogni che i membri di una data società sono religiosi; a ciò si aggiunge la scoperta che in molte culture l’individuo è considerato una riunione effimera di elementi diversi, che in parte esistevano prima della sua nascita e in parte sopravvivranno alla sua morte, che ha messo in crisi la strutturazione delle istanze della personalità così come proponeva Freud. I dispositivi rituali funzionano come mediazioni necessarie all’azione di uomini su altri uomini, che operano dietro ai rapporti degli esseri umani con la natura e con gli dei; i destinatari proclamati dei riti possono essere dei, geni o antenati, ma non sono altro che mediatori di una relazione tra umani, con una relazione simbolica, attingendo dai campi religioso, sociale, psicologico e estetico.
Difficoltà anche con il lessico: i termini si dimostrano troppo rigidi quando contribuiscono a cristallizzare gli oggetti che cercano di definire; altri sono troppo polisemici, imponendo di volta in volta la messa a punto, come con "riti" e "rituali", per non parlare del termine "religione" come se fosse una dottrina ben definita, separandola da magia e stregoneria, con i quali è invece strettamente collegata. Le critiche sono state sferrate dallo strutturalismo, che ha richiamato l’attenzione sul lavoro di costruzione simbolica e sulle categorie della comprensione, e dall’ermeneutica, che ha tentato di esprimere la realtà sociale dall’interno, rendendo più problematico il processo di scrittura e l’inchiesta sul campo. L’antropologia cognitiva invece cerca di sottrarre lo studio della religione alle speculazioni e agli a priori concettuali, concentrandosi sui principi che spiegano la genesi delle credenze, utilizzando solo informazioni elaborate con metodi controllati.
Altro problema è l’autonomizzazione del campo religioso, poiché è inserito nel campo delle modalità di pensiero: il concetto di sovrannaturale non è universale, ma si è imposto nella civiltà occidentale insieme a quello di scienze naturali. Si contrappone il campo della natura, osservabile scientificamente, a quello dell’immaginario, dei miti e delle superstizioni, alla parte irrazionale.

Tratto da L'ANTROPOLOGIA DEL MONDO CONTEMPORANEO di Elisabetta Pintus
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