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L’art. 18 St. lav. e la tutela reale del posto di lavoro


Passando ad esaminare quali siano i rimedi predisposti dall’ordinamento contro il licenziamento illegittimo, e cioè non corrispondente al modello legale, è necessario anzitutto operare una distinzione fondamentale in ragione delle diverse dimensioni aziendali.
Tale elemento costituisce, infatti, la principale discriminante per l’applicazione al lavoratore della c.d. tutela reale, la quale consiste nell’obbligo del datore e nel corrispettivo diritto del prestatore alla reintegrazione nel posto di lavoro, ovvero della c.d. tutela obbligatoria, nella quale, invece, è lasciata alla volontà del datore l’alternativa tra la riassunzione del lavoratore e il pagamento di una penale.
Cominciando dalla tutela reale, ai sensi dell’art. 18 St. lav. essa si applica nei confronti dei datori di lavoro, imprenditori e non imprenditori, che occupino più di 15 dipendenti nell’unità produttiva nella quale è occupato il lavoratore licenziato; e, in ogni caso, ai datori di lavoro che abbiano globalmente alle loro dipendenze più di 60 lavoratori, indipendentemente dal frazionamento organizzativo in unità produttive.
Sono inclusi nel computo i lavoratori assunti con contratto di formazione e lavoro, i lavoratori a tempo indeterminato parziale in proporzione all’orario svolto ed ai lavoratori intermittenti in proporzione all’orario effettivamente svolto nell’arco di ciascun semestre.
Invece sono esclusi da computo il coniuge ed i parenti entro il secondo grado del datore di lavoro, i lavoratori assunti con contratto di reinserimento, i lavoratori inviati presso un utilizzatore sulla base di un contratto di somministrazione, i lavoratori assunti con contratto di apprendistato e con contratto di inserimento.
Entro quest’ambito di applicazione, a fronte del licenziamento illegittimo (sia esso inefficace per mancanza dei requisiti di forma, annullabile per mancanza di giusta causa o giustificato motivo, o nullo perché discriminatorio o altrimenti vietato) il datore di lavoro è condannato alla reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro, nonché al risarcimento del danno subito dal lavoratore a causa del licenziamento.
Da quanto detto, dunque, emerge con evidenza che l’art. 18 St. lav. ha unificato il regime delle conseguenze dell’invalidità per i vizi di forma o di sostanza del licenziamento.
La principale differenza riguarda il diverso regime della prescrizione: l’azione di nullità è imprescrittibile, mentre la prescrizione dell’azione di annullamento è di 5 anni; per il diritto alla reintegrazione ed al risarcimento del danno vale la prescrizione ordinaria di 10 anni.
Per il resto la differenza tra le due ipotesi sembra ridursi alla diversa natura della sentenza, dichiarativa per la nullità e costitutiva nel caso di annullamento, e alla rilevabilità d’ufficio della nullità.

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