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L’art. 82 cost: l’autonomia delle confessioni acattoliche


Tale articolo ha ad oggetto l’autonomia delle confessioni.
L’espressione “hanno diritto” indica che l’autonomia statutaria è garantita dalla Costituzione; pertanto, le confessioni interessate potranno predisporre statuti, destinati a regolare la propria organizzazione, ed essi acquisteranno rilevanza civile a condizione che non contrastino con l’ordinamento giuridico italiano.
La Corte Costituzionale ha precisato che alla capacità delle confessioni diverse dalla cattolica “di dotarsi di propri statuti corrisponde l’abbandono da parte dello Stato della pretesa di fissarne direttamente per legge i contenuti, purché questi non contrastino con l’ordinamento giuridico italiano. Questa espressione va riferita solo ai principi fondamentali dell’ordinamento”.
Quanto all’organo deputato a tale verifica, fino ad oggi si è ritenuto che ciò si attui nel momento della presentazione al Consiglio di Stato dello statuto per ottenere il parere sul riconoscimento della personalità giuridica dell’ente “confessione religiosa”.
Infatti nella prassi amministrativa, per la erezione in ente morale di istituti di culti diversi dalla religione cattolica occorrono tuttora il parere del Consiglio di Stato e del Consiglio dei Ministri.
Il controllo in tale sede sarà di mera legittimità; lo Stato non può cioè arrogarsi la funzione di valutare i principi di una confessione religiosa, dovendosi limitare a verificare che le norme di organizzazione di questa non deroghino “ai principi statali di organizzazione dei gruppi sociali”.
L’art. 8 cost. sembra stabilire dei limiti che una confessione religiosa non potrà mai valicare nelle proprie norme statutarie, limiti che vanno ricavati in via interpretativa dai principi fondamentali del nostro ordinamento.
Pertanto, una confessione religiosa in nessun caso potrà negare i principi fondamentali dell’ordinamento costituzionale (ad esempio, la libertà di adesione al movimento, la libertà di recesso dall’organizzazione, la libertà di autodeterminazione dell’individuo e il rispetto della sua personalità all’interno del gruppo).
Pertanto vi è disaccordo in dottrina sulle conseguenze.
Taluno ritiene che la non conformità dello statuto del gruppo religioso ai principi fondamentali del nostro ordinamento produrrebbe la semplice irrilevanza civile di tale statuto; il gruppo sarebbe comunque libero di agire, ma di fatto e fruirebbe dunque delle norme di diritto comune e di quelle applicabili alla generalità delle confessioni.
Altri, invece, appaiono più propensi a negare la qualificazione di confessione religiosa a quei gruppi che coltivino “concezioni religiose aberranti di tipo razzista o immorali o intrinsecamente violente” affermando che escluderebbe di fatto il gruppo dall’applicazione delle norme sulla generalità dei culti.

Tratto da DIRITTO ECCLESIASTICO di Stefano Civitelli
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