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L’esame di persone imputate in procedimenti connessi


Il testo originario del codice 1988 non consentiva, in maniera assoluta, all’imputato di assumere la qualità di testimone, neutralizzando così il diritto a confrontarsi con l’accusatore nei casi in cui un imputato ne accusasse un altro.
Riforme successive hanno attenuato il regime garantista dell’’88 proprio per garantire la tutela del diritto al confronto con l’accusatore, introducendo la possibilità che l’imputato possa deporre come testimone seppur solamente al caso in cui egli renda dichiarazioni su fatti che concernono la responsabilità altrui e limitatamente a tali dichiarazioni.
Si può definire “imputato connesso o collegato” l’imputato di quel procedimento che ha, rispetto al procedimento principale, un rapporto di connessione ex art. 12 c.p.p. o di collegamento probatorio a prescindere che i rispettivi procedimenti siano riuniti o separati.
Gli imputati concorrenti nel medesimo reato sono connessi al procedimento principale ex art. 12 lett. a c.p.p. e risultano incompatibili con la qualifica di testimone, fino a che nei loro confronti non sia stata pronunciata una sentenza irrevocabile.
Il linea generale l’imputato concorrente gode delle stesse garanzie che sono riconosciute all’imputato principale, tuttavia si è tenuto conto che egli è chiamato a rendere dichiarazioni su fatti concernenti la responsabilità altrui e per questo motivo l’imputato concorrente ha l’obbligo di presentarsi anche senza il suo consenso all’esame, come prevede il regime del testimone derogando, quindi, a quello dell’imputato.
Per tutto il resto, però, egli è assimilato alla figura base dell’imputato: ha la facoltà di non rispondere e può mentire impunemente, salvo le ipotesi di calunnia e simulazione di reato.
La facoltà di non rispondere riguarda sia le domande sul fatto di reato addebitato all’imputato concorrente (sé stesso), sia le domande su fatti commessi dall’imputato del procedimento principale in cui è esaminato.

Gli imputati connessi teleologicamente sono collegati ex art. 12 lett. c c.p.p. al procedimento principale.
Anch’essi sono assimilati al regime di imputato: hanno il diritto al silenzio e non hanno l’obbligo di rispondere secondo verità, ma divengono compatibili con la qualifica di testimone qualora rendano dichiarazioni concernenti la responsabilità altrui, seppur limitatamente a tali dichiarazioni.
Il regime giuridico dell’esame sui fatti diversi da quelli riguardanti le eventuali precedenti dichiarazioni concernenti responsabilità altrui rese dall’imputato connesso teleologicamente, per le quali è chiamato a deporre come testimone, comporta che egli mantenga il suo status originario che consiste nella facoltà di tacere e di mentire impunemente.
Tali “fatti diversi” sono quelli “propri”, “neutri”, o quelli sui quali l’imputato collegato non abbia ancora reso dichiarazioni.
Tuttavia, se nel prosieguo dell’esame la predetta persona rende dichiarazioni che concernono fatti altrui, assumerà la qualifica di teste in relazione a tali fatti: ogni domanda su nuovi temi di prova concernenti la responsabilità altrui pone l’imputato connesso teleologicamente nell’alternativa tra tacere o rispondere, ma una volta che ha risposto rendendo dichiarazioni su fatti altrui, egli è idoneo ad assumere la qualifica di testimone assistito.
La linea di discrimine tra l’area degli obblighi testimoniali e quella coperta dai privilegi non è rigida, stante la vaghezza del concetto di “fatti concernenti la responsabilità altrui”, e deve essere individuata di volta in volta dal giudice.

Tratto da DIRITTO PROCESSUALE PENALE di Stefano Civitelli
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