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L’istituzione come madre nella cura dello schizofrenico


La madre istituzione deve potere e sapere accogliere le paure e le angosce del paziente, spesso proiettate, contenere la sua rabbia, metabolizzarla e restituirla in una forma più tollerabile, deve poter rimandare un’immagine il più possibile integra del Sé frammentato, ricomporre le parti scisse e potersi associare alle parti sane per valorizzarle.
Sono 4 le funzioni materne svolte dal personale ospedaliero nel suo lavoro con il paziente schizofrenico:
funzione cognitiva: il personale, agendo come madre, interpreta i bisogni del bambino-paziente che ancora non utilizza il linguaggio adulto, tentando di tradurre il suo linguaggio criptico in una comunicazione condivisa. Il personale fa da tramite con la realtà, riducendone le fratture. Il rischio che il personale corre in questa sua funzione è quello di non modulare bene i percorsi regressivo-pregressivi che il paziente compie verso l’integrazione personale. Non cogliendo i cambiamenti insiti nel miglioramento psichico, tende ad assumere un atteggiamento deresponsabilizzante e infantilizzante, inducendo involuzione nel paziente;
funzione di contenitore emozionale: presuppone la creazione di un rapporto terapeutico che può avvenire solo se l’operatore riesce ad entrare in sintonia empatica con il paziente. Come la madre si identifica nel bambino, ritrova in lui le sue parti infantili e proteggendolo protegge se stessa, allo stesso modo l’operatore riconoscendo nell’altro le sue parti più deboli e malate, deve potersi accostare e porre le basi per una relazione terapeutica;
funzione di barriera emozionale dell’aggressività: gestire la rabbia del paziente schizofrenico significa accogliere gli affetti negativi e aggressivi, elaborarli rimandandoli in una forma tollerabile. Alcune volte l’operatore viene investito di proiezioni persecutorie, altre volte viene sfidato dal paziente che in questo modo farà emergere sia le sue aspirazioni onnipotenti che i suoi sentimenti tirannici. Anche in questo caso, il lavoro di gruppo, ridistribuendo i massivi investimenti emozionali tra i vari componenti, può aiutare i singoli operatori a metabolizzare meglio la rabbia del paziente, in modo che la risposta sia filtrata prima di essere agita e la contenzione fisica, se necessaria, non diventi la più immediata risposta all’aggressività di quest’ultimo;
funzione di organizzazione del Sé: il processo psicotico, nella sua acuzie, determina una perdita o una frammentazione del senso di coesione del Sé. La crisi e il ricovero sanciscono una frattura della sua dimensione temporale: il paziente sembra vivere un presente occasionale, momentaneo e frammentato, in una dimensione astorica dove non ci sono aspettative per il futuro e le esperienze del passato. Si trasforma lo spazio interno ed emergono vissuti di modificazione o frammentazione del sé corporeo. Di fronte a ciò viene fuori la naturale funzione d’organizzatore del Sé dell’equipe curante. L’opera di maternage e di accudimento corporeo aiutano i processi d’integrazione somatica mentre il lavoro di coinvolgimento, alla vita di reparto della famiglia, degli amici e degli operatori che hanno in carico il paziente tende a ripristinare la continuità esistenziale temporaneamente interrotta dalla crisi.
Il ricorso al facile ricovero può diventare una modalità con cui un servizio territoriale rischia di semplificare le risposte, banalizzare i bisogni e snaturare la sua funzione.
La conflittualità è tra il paziente e gli operatori, tra la madre-istituzione che costringe il paziente-adolescente a rimandare la sua autonomia e le pressanti  giuste richieste di autonomia di questo. Tali situazioni creano serie difficoltà agli operatori che colgono i limiti delle risposte che il reparto può e deve dare.

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