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L’obiettivo europeo del 3% nella R&S


Consiglio europeo di Barcellona, 2002: destinare, entro il 2010, il 3% del Pil alla R&S, con i 2/3 che devono essere finanziati dalle imprese con enfasi sulle scienze della vita, le biotecnologie e le tecnologie “pulite”. L’obiettivo era raggiungibile, la media europea nel 2002 era del 2% (Svezia e Finlandia la superavano, Italia 1.1%). Nel Marzo 2003 il commissario europeo per la ricerca (Philippe Busquin) boccia l’area mediterranea e centrale dell’Europa (indicando l’Italia come esempio di ritardo) e promuove la sola area scandinava. Previsioni ottimistiche vedono l’Italia all’1.5% nel 2010:
- Aumento della spesa per R&S ad un tasso annuo del 6%, molto difficile nella nostra situazione di problemi strutturali di disavanzo, elevato debito pubblico e crescita economica lenta;
- Aumento della spesa per i ricercatori del 50% annuo, cioè un passaggio dai 69.000 ricercatori totali del 2003 a 109.800. Per farlo occorre: rendere la professione più attraente, con maggiori sbocchi professionali e più remunerativa; aumentare il numero di iscritti presso facoltà di scienze naturali e ingegneria, con aumento anche qualitativo dei laureati (il solo titolo non è sufficiente); favorire il ritorno dei cervelli all’estero; attuare una politica di accoglienza, anziché difensiva, nei confronti degli immigrati ricercatori.
Le previsioni di Barcellona sono quindi irraggiungibili dal nostro Paese, destinato a perdere posizioni nella competizione scientifica, tecnologica ed economica internazionale. Una crescita accelerata (un brusco aumento della spesa per R&S) non è nemmeno plausibile, dal momento che si necessiterebbe di nuove infrastrutture e competenze, processi lunghi e complessi.

Tratto da TECNOLOGIA, PRODUZIONE E INNOVAZIONE di Moreno Marcucci
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