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L’orario di lavoro e la determinazione della prestazione


Come per l’ambiente di lavoro, un’analoga esigenza di tutela della persona del prestatore di fronte all’organizzazione del lavoro è alla base della disciplina limitativa della durata massima della prestazione di lavoro (orario di lavoro, riposi, ferie annuali).
Nel contratto di lavoro subordinato la dimensione temporale viene in rilievo sotto due profili distinti.
Innanzi tutto essa funge da criterio di determinazione quantitativa della prestazione lavorativa e, correlativamente, di quella retributiva; da questo punto di vista l’orario di lavoro ha la funzione di stabilire la quantità della prestazione lavorativa normalmente richiesta ed utilizzata dal datore di lavoro (c.d. orario normale contrattuale di lavoro) e, in corrispondenza, di determinare la retribuzione comunque garantita al lavoratore in presenza di un eventuale rifiuto illegittimo di ricevere la prestazione di lavoro (c.d. retribuzione normale minima).
Sotto il secondo profilo, l’orario di lavoro funge da limite massimo di esigibilità della prestazione di lavoro, che ha carattere continuativo nel tempo.
Evidentemente tale continuità non può intendersi in senso materiale e fisico, come non interruzione dell’esecuzione del lavoro: le energie lavorative sono infatti energie umane e perciò ben diverse dalle energie meccaniche, che sole possono essere erogate ininterrottamente nel tempo.
La continuità della prestazione lavorativa, dunque, è da intendere in senso ideale ed economico, come permanenza del vincolo obbligatorio del debitore delle opere, quantitativamente determinate per mezzo dell’orario di lavoro.
Si comprende dunque come, nella prospettiva di tutela dell’integrità psico-fisica del lavoratore, l’art. 362 cost. stabilisca che la durata massima della giornata lavorativa debba essere fissata per legge, mentre al comma 3 sancisce che il lavoratore ha diritto al riposo settimanale ed alle ferie annuali retributive e non può rinunziarvi.

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