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La condizione dello schiavo a Roma


Come è possibile inventare la filosofia, la politica, costruire monumenti che incarnano perfettamente questi nuovi valori e contemporaneamente far combattere la gente nell’anfiteatro o ridurre in schiavitù parte dell’umanità? Questa contraddizione non è superficiale. Se la libertà politica – vale a dire il fatto che la nozione di cittadino prevale su quella di suddito – appare intimamente legata alla città, lo stesso può dirsi per la schiavitù. Quest’ultima diventa la forma di dipendenza dominante, solo nel mondo della polis. È anche necessario precisare che la schiavitù ha la massima diffusone solo in alcune città: quelle dove grandi riforme hanno fatto sparire la massa degli asserviti locali. A Roma una situazione simile si viene a creare con le lotte della plebe. La costituzione di una proprietà di proprietari-soldati, cioè di una collettività di cittadini comprendente la maggioranza della popolazione, richiede lo sfruttamento di stranieri ridotti in schiavitù. La perdita totale della libertà, caratteristica dello schiavo, è la conseguenza del suo sradicamento e della sua esclusione dal gruppo al quale è stato arbitrariamente unito. È molto significativo, al contrario, il modo in cui
il diritto romano limita rigidamente, prima dell’Impero, l’asservimento dei cittadini, e preveda il più delle volte la vendita del condannato fuori dalla città. Lo schiavo viene definito essenzialmente per antitesi: egli rimane per secoli il negativo del cittadino. Per Aristotele, mentre l’uomo è anzitutto un animale politico, lo schiavo è
sprovvisto della facoltà di deliberare. Il modo di vivere del cittadino implica del tempo libero, la scholé o l’otium, che permette di dedicarsi alle attività creative, a cominciare dalla politica. La condizione di schiavo è caratterizzata invece dall’assenza di tempo libero: come un animale domestico egli lavora e per ricostruire le sue forze per il lavoro, mangia e dorme. Si identifica con la sua funzione: è per il padrone ciò che il bue è per il povero, è un oggetto animato che fa parte della proprietà. La stessa idea si ritrova costantemente nel diritto romano, dove il caso dello schivo viene frequentemente associato a quello di altri elementi patrimoniali: è venduto con le stesse norme di un appezzamento di terreno, è incluso, in un lascito, tra utensili e animali.
Rimane anzitutto un oggetto, una res mobilis. Contrariamente al salariato, la sua persona non viene distinta dalla sua capacità lavorativa.

Tratto da L'UOMO NELLA SOCIETÀ ROMANA di Alessia Muliere
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