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La democrazia del pubblico


Secondo March e Olsen “le istituzioni democratiche sono arene di discussione” e la rappresentanza è un sistema che permette di “intavolare discussioni ragionevoli e di deliberare in modo costruttivo”.
A partire da Schumpeter si sa però che il soggetto razionale e informato che definisce la sfera pubblica è soltanto un mito della dottrina politica classica. La decodificazione del messaggio politico avviene in maniere diverse a seconda del bagaglio di informazioni e di esperienze disponibili.
La cruda realtà è che le persone informate sono un’esigua minoranza. Il divario di conoscenza tra i cittadini è il punto di partenza delle strategie del marketing politico. Messaggi brevi e chiari, slogan generici e senza possibile verifica, sono lanciati verso segmenti di pubblico ritenuti più esposti a richiami emotivi e simbolici e meno dotati di controargomenti per ribattere lo spot accattivante.
Il marketing deve assicurarsi la non resistenza ai messaggi d quella porzione d’elettorato che non ha una cultura politica impermeabile e orienta le preferenze in maniera molto fluttuante da un’elezione all’altra.
La comunicazione politica più efficace verso gli indecisi con un’esigua attitudine alla memorizzazione selettiva è quella fatta non da leader in prima persona ma da uomini dello spettacolo. Trova conferma che entro certi contesti “il pubblico è sostanzialmente un buco nero”. Una cittadinanza solo virtuale incapace di resistenza alle comunicazioni non congeniali e palesemente contraffatte può benissimo convivere con un partito meramente virtuale.
Nella democrazia del pubblico Manin declina l’importanza delle organizzazioni di partito nella socializzazione politica e le tecniche della comunicazione assumono una centralità indiscussa. La politica ingloba la forza mimetica di un’arte manipolatoria che suscita un transfert di realtà. Si diffonde una “politica indiziale che anticipa i nostri desideri, la applaudiamo perché ci applaude”.
La nuova politica usa la leggerezza delle immagini e dei suoni contro il significativo calcificato delle parole poco decifrabili del linguaggio normale della politica.
Il linguaggio dell’antipolitica non deve limitarsi a descrivere il mondo, a indicare cifre e prospettive compatibili, ma deve costruire un oggetto simbolico, definire un mondo con la forza evocativa della parola e dell’immagine.
La comunicazione politica si caratterizza per una struttura semantica peculiare. La sua strategia narrativa prevede accorte utilizzazioni di pratiche linguistiche e di rappresentazione iconica. Si fa leva sulla carica emotiva di un’immagine cui si sovrappone uno slogan subito assimilabile che nella sua banalità non richiede grandi sforzi ermeneutici per essere decodificato e impresso nella memoria.

Tratto da RAPPRESENTANZA POLITICA E GOVERNABILITÀ di Laura Polizzi
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