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La fase neo-televisiva o della collaborazione: 1975-1989


Alla metà degli anni ’70 si avvia una nuova fase  dove coincidono cambiamenti nel settore delle telecomunicazioni e l’accentuarsi di tendenze politiche e sociali.
Sul fronte della comunicazione la riforma della Rai del 1975 e la seconda riforma ad opera della legge Mammì nel 1990 portano una rivoluzione negli assetti, nelle proprietà , nei soggetti, nelle logiche d’offerta e nella cultura del Paese; le conseguenze sono la nascita di tanti protagonisti, di un mercato di informazione, di una scena pubblica  mediatizzata.
I media e la televisione in particolare assumono un ruolo importante nella rappresentazione della realtà sostituendosi alla vecchia agorà.
L’evoluzione tecnologica  linguistica degli strumenti di comunicazione e l’imporsi della tv come medium principale portano all’adeguamento dei soggetti e in special modo dei partiti che perdono il contatto e la capacità di dialogo con gli elettori.
Sul fronte politico si consuma la crisi del partito radicato sul territorio e costruito sulla militanza; il lavoro cessa di essere elemento di identità sociale che determina l’appartenenza di classe unite a valori e usi ben definiti e si passa ad una società in cui l’identità si configura in base a consumi e abitudini nel campo della comunicazione; la società è più complessa e mobile e all’inizio degli anni ’80 il partito di massa entra ufficialmente in crisi a cui si sostituisce il partito pigliatutto o il partito elettorale.
Con il ridefinirsi delle classi sociali d’elezione i militanti perdono la loro funzione di mediatori e a quest’evoluzione i partiti rispondono in maniera differente: il Psi la cavalca, la Dc la ignora, il Pci si oppone, ma per tutti comporta la rottura del contatto diretto con l’elettorato e quindi il venir meno della funzione di dialogo e rappresentanza nelle forme tradizionali.
I partiti cercano altri strumenti per comunicare e ai militanti si sostituiscono i campioni statistici, si rivoluzionano a partire dall’espansione dei media.
La prima apparizione di un Presidente del consiglio in un talk show risale al 1976 quanto Andreotti si presenta a Bontà Loro; le performance dei ministri e segretari mettono in evidenza la rottura con i modelli tradizionale della comunicazione politica che si va affermando quando nel 1978 Marco Pannella ed altri esponenti radicali si presentano in tv imbavagliati; nel 1983 lo spot viene utilizzato anche in politica per la comunicazione elettorale; inizia con Marco Pannella, Giovanni Spadolini e Bettino Craxi la personalizzazione della leadership; gli strumenti tradizionali della comunicazione politica quali i comizi si trasformano in momenti coreografici e spettacolari pensati per attirare l’attenzione dei media ed iniziano con il Congresso socialista nel 1981 a Palermo; si utilizzano testimonial e candidati provenienti da cinema, teatro e dalla televisione; inizia a prevale in campo politico la comunicazione visiva su quella verbale simbolicamente con i maxischermi; alla razionalità e persuasione si sostituiscono la componente emotiva  e seduttiva con il ricorso a modelli del messaggio pubblicitario; viene meno la distinzione tra dimensione pubblica e privata.
Ecco dunque che la politica passa da un’azione di rappresentanza di interessi e valori, alla rappresentazione di se stessa mediante la comunicazione.
Inizia un rapporto di reciproco scambio tra sistema politico e radiotelevisivo in quanto il primo permette di mantenere una situazione che si è sviluppata fuori da ogni regolamentazione con il decreto di Craxi “salva private” e con la legge Mammì che prende solo in atto qualcosa di già esistente, e il secondo dà alla politica la visibilità necessaria per la sopravvivenza.
Lo strumento televisivo diventa il luogo di rappresentazione della scena politica che si adatta alla dimensione spettacolare.

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