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La funzione semiotica della scrittura

Con il termine “scrittura” intendiamo l’Insieme di strategie e di tecniche inventate e utilizzate da popoli diversi nella storia ,al fine di fissare e trasmettere socialmente, dati, pensieri, esperienze mediante artifici di tipo grafico-visivo, ma anche sistema per tradurre in simboli grafici la parola parlata.
La scrittura è una scoperta recente (mesopotamia) che ha portato grandi cambiamenti nella conoscenza.
Prima dell’avvento della scrittura, il linguaggio era saldamente ancorato al contesto, la parola era immersa nello scambio comunicativo fra soggetti compresenti,si arricchiva accompagnata da gesti e comportamenti paralinguistici (importanza della RETORICA, capacità di saper usare le parole al fine di persuadere) che privilegiava l’aggregazione sociale.
La scrittura invece offrì agli esseri umani la possibilità di trasmettere il pensiero a distanza, offrendo un supporto alla memoria (fissare in un testo scritto come le leggi), ma con evidente decontestualizzazione del linguaggio, poichè essa non poteva certo tener conto della situazione pratica, psicologica, in cui si trova il destinatario, producendo un raffreddamento della comunicazione.
Era vista addirittura in maniera negativa (Platone, thamus rifiuta dal dio theuth il dono della scrittura, ritenendola dannosa per la sapienza vera trasmettibile solo in rapporto diretto)
Ma la scrittura non impoverisce la parola, piuttosto instaura una forma originale di semiosi. 
Il “contesto” non è assente infatti senza di questo le scritture perdono senso.
Tuttavia col tempo si abbandonarono queste convinzioni erronee, e si capì la potenza della scoperta, che fissa la conoscenza e retroagisce sulla mente umana.
Essa introduce nel discorso una maggiore formalità rispetto al parlato, proporzionale al rapporto sociale che corre tra i due corrispondenti.
La scrittura è correlata alla ritualizzazione dei gesti infatti scrittura e grammaticalizzazione, cioè la definizione normativa delle lingue vanno di pari passo.
In greco “gramma” voleva dire carattere scritto; per Dante la grammatica e lingua scritta erano sinonimi. 
Fondamentale fu l’invenzione della stampa che consentì di distribuire testi unici esenti dalla varianti individuali, e spingendo a fissare delle convenzioni ortografiche spingendo per la standardizzazione della lingua.

HAVELOCK & ONG. EFFETTI INDOTTI DALLA SCRITTURA SU:
- TEMPO: la percezione del tempo, visto come un fluido continuo, ora è scandita da orologi e calendari.
- RELIGIONE: grazie ad essa, esistono le grandi religioni, che, attraverso il dialogo tra lettore e testo, si basano sull’introspezione
- CALCOLO: favorisce il calcolo, ingrediente essenziale sia della vita economica sia del progresso scientifico
- SCARICO COGNITIVO: rende disponibile per menti finite una quantità illimitata di informazione, favorendo la "vera sapienza".

La mente umana andrebbe considerata come un sistema di conoscenze decentrate che alloca nell’ambiente risorse enormi allo scopo di valersene secondo le circostanze.

Tipi di scrittura


La scrittura ha assunto molteplici forme e ha svolto numerose funzioni, inizialmente di aiuto alla memoria e alle funzioni amministrative.
Ci sono forme di scrittura che esprimono direttamente aspetti del mondo mediante strategie PITTOGRAFICHE o esprimono elementi di pensiero mediante strategie IDEOGRAFICHE. 
Ci sono forme di scrittura che esprimono il pensiero facendo riferimento ad una lingua e qui distinguiamo:
- Sistemi logografici (intere parole)
- Scritture sillabiche (sillabe)
- Scritture alfabetiche (fonemiche)
La scrittura non rappresenta solo la riproduzione della parola parlata ma si presenta come un fenomeno culturale complesso esempio è il caso dei PITTOGRAMMI che fissano graficamente un immagine somigliante ad oggetti del mondo (es segnaletica).
Elementi pittografici sono presente nei sistemi di scrittura egiziana e cinese un caso sono I GEROGLIFICI vennero usati su monumenti e sul papiro e si servono di segni che rappresentano oggetti del mondo reale, utilizzano però anche segni a carattere fonetico e altri con funzione determinativa che mettono in gioco il medium linguistico. (se uso un piede per parlare di camminare = ideogramma)
In queste lingue un problema è rappresentato dagli omofoni cioè quelle parole che hanno suono simile ma significato diverso, il parlato può risolvere tale problema con mezzi ausiliari di tipo linguistico (es l’intonazione) o gestuale. In queste lingue in mancanza di un supporto orale si ricorreva al rebus, con un supporto di un elemento determinativo.
Rispetto a questi sistemi di scrittura l’ALFABETO introduce un innovazione sostanziale. Raggruppa in classi i suoni simili che si trovano in parole diverse e fissa per ciascuna classe un simbolo espressivo.
Questo sistema emerse nell’asia anteriore e si diffuse un secolo dopo nel mediterraneo, si pensa che la scrittura si diffuse grazie ai Fenici.
Il principio semiotico che regge la scrittura alfabetica è quello della secondarietà rispetto alla parola perché esiste in funzione dell’oralità in quanto la trascrive.
I simboli espressivi i “grafemi” evocano i suoni corrispondono e rappresentano le caratteristiche fonico acustiche che servono a fare la differenza rispetto ad altri suoni, quindi al grafema corrisponde il fonema.
I sistemi grafico-alfabetici rappresentano i corrispondenti sistemi fonologici in maniera approssimata per via dei fattori di disturbo davanti alla varietà regionali o dialettali e quindi non c’è sistema grafico che corrisponda in modo biunivoco al sistema fonologico della lingua.
I testi italiani dei primi secoli non avevano una norma ortografica univoca e vi erano oscillazioni della grafia.
Con la stampa e con la riproduzione del testo si arrivò ad una norma grafica unitaria che divenne subito norma tipografica e si ebbe anche il processo della “grammaticalizzazione” delle maggiori lingue nazionali che divennero tali scegliendo la varietà dotate di maggior prestigio culturale e politico modellando su questa le scelte lessicali, fonologiche e morfosintattiche ma anche grafiche.
Con la stampa questo processo di selezioni si uniformò.
I sistemi grafici prima della stampa si accompagnano a stili di scrittura di altissima specializzazione. Gli stili grafici si specializzano nel momento in cui il libro è scritto a mano e ognuno ha proprie regole.
Con la stampa la forma della scrittura non ha più tanta importanza la si trova come calligrafia come ideale di bellezza fino a che non entrano in gioco i  meccanismi elettronici che hanno cambiato il rapporto delle persone con la scrittura.

Testo e ipertesto: una scrittura / lettura aperta


Il testo è cambiato con la diffusione dei computer e l’evoluzione della tecnologia, parliamo di ipertesti che troviamo navigando in internet.
Landow, dice che l’ipertesto è composto da blocchi di parole collegate elettronicamente secondo percorsi multipli, catene o percorsi in una testualità aperta e sempre incompiuta descritta dai termini “collegamento “percorso”.
Il messaggio che il testo offre non si presenta nella forma lineare tradizionale ma in una forma pluriplanare dove da ciascun punto si possono trarre informazioni e approfondimenti situati ad altri livelli testuali a cui si accede mediante Links.
Il testo è organizzato come un sistema di conoscenze che è possibile percorrere tutto o in parte secondo percorsi suggeriti.
L’ipertesto può includere molti links che portano ad altri ipertesti rappresenta il funzionamento non chiuso del sapere, ma un apertura verso l’enciclopedia che comprende conoscenze non solo verbale che si esprimono anche mediante linguaggi diversi, dall’immagine ai numeri e alle loro combinazioni e dunque si parla di “ipermedia”.
Si è diffuso il mito degli ipertesti che hanno sconvolto il modo di avvicinarsi alla conoscenza della realtà. 
Una visione pessimistica sostiene che una superficiale cultura dell’immagine si va a sostituire a quella legata al primato dell’uso della lingua verbale.
La visione ottimista ipotizza che gli ipertesti portano libertà nell’approccio al dato conoscitivo che si esalta nella possibilità di usare percorsi diversi e alternativi a quelli previsti dall’autore.
La rete di collegamenti resa disponibile dall’ipertesto è quella che il lettore esperto attiva ogni volta che si accosta ad un testo linearmente organizzato; e ogni volta che legge ricava uno stimolo per una serie di molteplici conoscenze. 
Quindi gli ipertesti non fanno altro che riprodurre su larga scala una conoscenza che avviene già nella mente umana.
Il declino della verbalità non dipende dall’uso delle nuove tecnologie infatti la chiave di accesso agli ipertesti è la parola. Non bisogna incolpare il mezzo ma bisogna vigilare sui processi che possono distorcerne la funzione. 

Linguaggio e mente nella prospettiva semiotica


Linguaggi naturali tra continuità e discontinuità
Il problema della continuità/discontinuità della semiosi fu posta da Darwin dicendo che articolare suono e connetterli con idee definite non è carattere peculiare del’uomo ma è la capacità di associare i suono e le idee. 
La semiosi è una proprietà condivisa da gran parte del mondo animale perché la parola è solo una parte della semiosi. 
Vi è dunque tra gli animali è l’uomo una differenza solo graduale nella maggiore o minore ricchezza delle capacità cognitive.
Punti consolidati sulla questione (proprietà dei linguaggi naturali):
- Ogni tipo di semiosi dipende dall’analisi ambientale che le specie possono fare mediate il proprio sistema percettivo. (es le api sanno localizzare il nettare, le formiche sanno sfruttare informazioni chimiche). 
- Tutti i sistemi percettivi debbono abilitare gli esseri viventi ad almeno un operazione basilare ai fini della sopravvivenza. Questa operazione è quella di stabilire identità e differenze applicando il criterio della pertinenza. I viventi riescono a identificare ciò che è utile alla sopravvivenza e ciò che è ostile.
- Vincoli del sistema percettivo e forme di categorizzazione stringono in modo peculiare ciascuna specie al suo mondo. Ne consegue che il tipo di semiosi di ogni specie è adattato alle potenzialità percettive della specie. 
Si è visto in merito all’apprendimento del codice come certi umani (noi) nascano con una facoltà i linguaggio che poi va attivata dall’apprendimento della lingua; ci sono specie animali come gli uccelli (i pappagalli) che hanno capacità simili infatti sono in grado di sviluppare veri dialetti.
Acquisire le caratteristiche biosemiotiche dei codici ci si sposta sull’identificazione delle proprietà semiotiche dei codici nello sforzo di individuare quali si presentino e quali no nelle varie specie.
- Si può indagare la capacità di servirsi di utensili. Si basa sul presupposto che servirsi di un oggetto reperito nell’ambiente come di uno strumento indica la capacità di distacco dall’immediatezza e l’attribuzione di una funzione simbolica. Ciò assume una notevole importanza : è il caso degli scimpanzé in grado di usare bastoni per difendersi.
- Verificare se le funziono del linguaggio discusse da Jakobson siano esclusive dell’uomo o si trovino anche in altre specie.
la funzione referenziale appare comune (le api sono in grado di comunicare informazioni sul nettare) la funzione conativa la si ritrova nei rituali di accoppiamento; gli animali sono inoltre in grado di fingere segnali ad esempio per difesa.
Di conseguenza non c’è una funzione che sia esclusiva del linguaggio umano ma è facile vedere come diverse funzioni non le ritroviamo nella stessa specie. Quindi la caratteristica peculiare del linguaggio umano è la compresenza di tutte le proprietà che le altre specie hanno solo separatamente.

Decentrare la mente


Se il linguaggio non è una capacità esclusiva degli uomini cosa si deve dire a proposito della mente? Ovvero la proprietà ritenuta distintiva dell’uomo.
La domanda si pone su due versanti:
- Confronto umani e animali
- Confronto umani e macchine
Un ipotesi è che la semiosi è largamente diffusa nel mondo animale altrettanto diffusa è la capacità di pensiero che può essere identificata come “mente”.
Il dibattito è ampio poiché si pone il quesito su cosa si intende con MENTE; inoltre bisogna tener distinti le mente naturali da quelle artificiali.
Dalla seconda metà del 900 ha avuto avvio la teoria secondo cui avere una mente vuol dire elaborare delle rappresentazioni del mondo nella forma di simboli retti da certe combinazioni. Una mente così detta sarebbe quindi un software. Tale teoria si è imposta con Turing che riteneva ovvio che le macchine pensassero.
Il nocciolo del pensare è quindi nella funzione concretamente svolta e non nella sua base biologica. Tutta la corrente conosciuta come cognitivismo (la mente assimilata ad un software che elabora input) fa riferimento a tali presupposti. La fede nell’intelligenza delle macchine si è spinta al punto tale che queste sono divenuti sostegno alle nostre attività. 
La teoria cognitivista trova una delle massime espressioni in Chomsky che svaluta le capacità linguistiche animali. L’analogia linguaggio-mente-pc si risolve nel ribadire l’unicità dell’uomo in quanto essere pensante e parlante e nell’istituire un rapporto privilegiato con le capacità computazionali del pc e quelle della mente umana. 
Vi sono però molte obiezioni in merito, una delle prime è stata fatta da Searle il quale osserva che un computer può rispondere correttamente a delle domande formulate in cinese in base ai dati in suo possesso, fornirà delle risposte corrette ma non fa altro che manipolare dei simboli senza capirne il significato.
Una seconda concezione mette in rilievo come la mente umana non si basi solo su input e output ma è la somma di una serie di infrastrutture fisiche come le emozioni, le credenze, i desideri. 
Le due obiezioni hanno importanti conseguenze.
Da una parte l’eventualità che quella del computer possa essere considerata una mente a tutti gli effetti viene ridimensionata; dall’altra viene messa al centro della discussione la particolarità della mente naturale.
L’idea portante del cognitivismo è che la mente sia un dispositivo centrale che governa il cervello elaborando dato che poi affluiscono tramite il sistema percettivo. Studi recenti rivelano però che queste consistono in una trama ricchissima di sottosistemi autonomamente funzionanti e interattivi tra loro.
La tecnologia della robotica ha cercato di simulare per mezzo di automi aspetti del funzionamento della mente naturale, sono state costruite macchine capaci di apprendere arricchendo la propria base dati per mezzo di input, in grado di spostare oggetti ecc. 
Un primo punto di arrivo di queste ricerche è che la mente biologica sia un sistema complesso, un sistema fisico composto da una serie di elementi che interagiscono in modo non lineare, ha comportamenti non de tutto prevedibili, reagisce in modo diverso alle perturbazioni esterne, si adatta all’ambiente interagendo con esso, cambia nel tempo non in modo graduale e prevedibile.
A un sistema del genere compete la complessità del linguaggio verbale. Un discorso almeno in parte analogo sembra potersi fare anche per quegli animali non umani che esibiscono comportamenti almeno parzialmente imprevedibili in base ad un adattamento innovativo e l’adozione di mezzi espressivi estranei al bagaglio di specie.
Quindi una forma mentale è laddove appaiano forme pure deboli di comportamento interpretativo, diverso dalla risposta ad uno stimolo tipica di una macchina. 
Ciò implica un ridimensionamento (non annullamento) della visione della mente artificiale. Il computer è una semplificazione della mente umana. 

Una delle teorie più autorevoli proposte per naturalizzare il concetto di mente è quella di Dennet = atteggiamenti intenzionali. Le attività degli esseri viventi hanno sempre un Intenzionalità!
Tuttavia l’evoluzione delle conoscenze ci fa sapere che quanto può apparirci come una mente non è altro che il risultato di un processo adattivo legato alla selezione naturale.
Dennet osserva che fra tutte le creature viventi l’uomo è il solo in grado di fare un uso sistematico degli utensili linguistici che consentono di scaricare nel mondo le informazioni. 
Il terreno del linguaggio è il terreno della cultura.
In questa attitudine alla produzione della cultura la specie umana segna la sua particolarità. Il linguaggio non è solo uno strumento, ma un dispositivo che media le attività cerebrali e aiuta nella cognizione.

Tratto da ELEMENTI DI SEMIOTICA di Anna Carla Russo
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