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La legittimizzazione alla domanda di istanza di fallimento


Quali sono i soggetti legittimati a domandare questa procedura? Il legislatore parla di “iniziativa per la dichiarazione di fallimento”; sono tre i soggetti legittimati a domandare tale procedura:
A. il debitore;
B. uno o più creditori;
C. il pubblico ministero.

A. costui è il fallendo, cioè il fallimento può essere richiesto in proprio (“l'imprenditore ha portato i libri in tribunale”; l’imprenditore ha difatti il dovere di chiedere la propria dichiarazione di fallimento se rischia di aggravare la situazione di insolvenza prolungando la propria attività;

B. è l'ipotesi più frequente; si può sempre richiedere quando esistono il presupposto soggettivo e oggettivo della dichiarazione di fallimento. Spesso è un'arma di pressione, in quanto promuovendo l'istanza di dichiarazione di fallimento per ottenere il pagamento del proprio credito, il creditore deve valutare se esiste la convenienza a fare ciò, in quanto la dichiarazione stessa può far scattare azioni revocatorie o può portare a un ristoro minimo, mentre un accordo extra-giudiziale avrebbe magari potuto portare a un risultato migliore;

C. all’Art 7 L.F. compaiono le ipotesi in cui il pubblico ministero può presentare domanda diretta alla dichiarazione di fallimento, e tali ipotesi sono:
I. quando l'insolvenza risulti da un procedimento penale o da una serie di circostanze gravi (fuga, latitanza, chiusura dei locali dell'impresa...);
II. quando risulti da segnalazione del giudice civile, che avrebbe rilevato lo stato di insolvenza durante un processo civile.
-Art 7. Iniziativa del pubblico ministero.
“Il pubblico ministero presenta la richiesta di cui al primo comma dell’articolo 6:

1) quando l’insolvenza risulta nel corso di un procedimento penale, ovvero dalla fuga, dalla irreperibilità o dalla latitanza dell’imprenditore, dalla chiusura dei locali dell’impresa, dal trafugamento, dalla sostituzione o dalla diminuzione fraudolenta dell’attivo da parte dell’imprenditore;
2) quando l’insolvenza risulta dalla segnalazione proveniente dal giudice che l’abbia rilevata nel corso di un procedimento civile.”
Nel passato la procedura diretta alla dichiarazione di fallimento poteva essere richiesta anche dal giudice civile stesso d'ufficio: oggi non ha più tale competenza il tribunale, però se lo viene a sapere ha l'obbligo di segnalare la sussistenza dello stato di insolvenza al pubblico ministero. Ciò comporta un risvolto sul piano operativo: ad esempio se il creditore ha un credito verso l'imprenditore fallibile, e questi non paga nonostante i numerosi solleciti, il primo potrà presentare istanza per la dichiarazione di fallimento: a questo punto può capitare che l'imprenditore fallibile vada dal creditore per saldare il debito e allora il creditore fa un atto di desistenza rinunciando all'istanza; il problema è delicato in quanto la stessa istanza promossa dal creditore ha messo in moto il primo sub-processo di dichiarazione di fallimento. A questo punto se oggi il creditore desiste dall'istanza di dichiarazione di fallimento, la procedura non si chiude qui, ma viene comunque compiuta un'indagine per verificare che non ci sia veramente un eventuale stato di insolvenza e, nel caso in cui tale presupposto oggettivo sia accertato, allora il giudice civile ha l'obbligo di informare il pubblico ministero.
Scenario di diritto societario: il legislatore individua tre soggetti per mettere in moto la procedura; ad esempio se una società fallibile va male, ed è cioè ritenibile in stato di insolvenza, allora ci saranno i soci e gli amministratori ed entrambi potranno promuovere la procedura diretta alla dichiarazione del proprio fallimento.
Ma chi decide? Per ipotesi diciamo gli amministratori. Ma nelle SpA e nelle SRL di grandi dimensioni c'è anche il collegio sindacale, che potrebbe evidenziare la gravità della situazione, e che dispone della facoltà di invitare gli amministratori a chiedere l'istanza per non aggravare la situazione societaria, e della facoltà di convocare l'assemblea dei soci, così come di promuovere l'azione di responsabilità contro gli amministratori, o di denuncia di gravi irregolarità di fronte al tribunale. In più un tempo il collegio sindacale poteva sottoporre al pubblico ministero le proprie valutazioni, invitandolo a chiedere la dichiarazione di fallimento.
Oggi possono ancora farlo? No perché il pubblico ministero deve promuovere la dichiarazione di fallimento solo quando l'insolvenza risulti dal procedimento penale o in seguito a segnalazione del giudice civile. Quindi stando letteralmente a quanto detto dall'’Art 7 L.F., la segnalazione dei sindaci non sarebbe valida come richiesta di dichiarazione di fallimento di fronte al pubblico ministero.
L'atto per la dichiarazione di fallimento risulta omogeneo dal punto di vista processuale, qualsiasi sia il soggetto a promuoverlo; tuttavia letteralmente dall'Art 6 I comma sembra dire tutt’altro.
Art 6. Iniziativa per la dichiarazione di fallimento.
“Il fallimento è dichiarato su ricorso del debitore, di uno o più creditori o su richiesta del pubblico ministero.
Nel ricorso di cui al primo comma l’istante può indicare il recapito telefax o l’indirizzo di posta elettronica presso cui dichiara di voler ricevere le comunicazioni e gli avvisi previsti dalla presente legge.”
Ipotizziamo che tizio sia creditore di caio che è un imprenditore: il creditore deve dimostrare di essere un soggetto legittimato a mettere in moto la procedura di richiesta di dichiarazione di fallimento, dicendo ad esempio che lui ha stipulato un contratto di vendita, consegnando un bene a caio, ma che caio stesso non ha ancora pagato, e tutto ciò traspare da una regolare fattura. Poi deve dimostrare che caio è un imprenditore, e per di più che è un imprenditore commerciale (a ciò si può risalire dal certificato della camera di commercio o dal registro delle imprese). Il creditore deve anche dare prova dello stato di insolvenza dell'imprenditore, cioè che caio non è più in grado di adempiere regolarmente alle proprie obbligazioni (dimostrabile dall'esistenza di protesti, di pignoramenti); oppure lo stato di insolvenza è dimostrabile tramite lo strumento degli indici di bilancio, dai quali è desumibile l'eventuale squilibrio finanziario che minerebbe il proseguimento dell'attività di impresa.
Riassumendo quindi il tutto, a tizio creditore spetta il dovere di dimostrare:
- di essere creditore di caio;
- che caio è imprenditore;
- che caio è imprenditore commerciale;
- che caio risulta essere in stato di insolvenza.
Una volta depositato l'atto di dichiarazione di fallimento, da qualunque dei tre soggetti legittimati a farlo, che cosa succede? Il giudice competente a dichiarare il fallimento è il tribunale, e la competenza per territorio è determinata dalla collocazione della sede principale dell'impresa (Art 9 I comma).
Art 9 II comma sul trasferimento della sede: se si trasferisce la sede, si è dichiarabili falliti dal tribunale della vecchia sede entro un anno dal trasferimento.
- Art 9. Competenza.                                                                                                                         
“Il fallimento è dichiarato dal tribunale del luogo dove l’imprenditore ha la sede principale dell’impresa.
Il trasferimento della sede intervenuto nell’anno antecedente all’esercizio dell’iniziativa per la dichiarazione di fallimento non rileva ai fini della competenza.”
Art 15 L.F.: la tappa successiva è l'udienza, fissata dal tribunale in quanto deve essere rispettato il principio del contraddittorio (cioè la possibilità che le parti si possano difendere); il debitore può difendersi dimostrando che mancano uno o più dei presupposti (dimostrando ad esempio di non essere imprenditore, o di non essere imprenditore commerciale, o di essere al di sotto delle soglie, o di non essere in stato d'insolvenza): il solo imprenditore difatti risulta poter essere in grado di dare prova di essere al di sotto delle soglie.
Si apre poi la fase di istruttoria fallimentare, diretta ad acquisire prove, prove documentali (certificato della camera di commercio dal quale traspare se caio fosse o no imprenditore, o imprenditore commerciale, o altri documenti come bilanci dai quali verificare gli indici, o eventuali protesti) e tali prove possono anche bastare per dichiarare o no il fallimento, senza bisogno così di un'ulteriore fase istruttoria.
Novità dell'Art 15 VI comma: il tribunale può promuovere un'istruttoria d'ufficio per approfondire l'indagine tramite due strumenti:
- la richiesta di informazioni a un qualunque pubblico ufficio (ad esempio la Guardia di Finanza);
- eventuali consulenze tecniche.
Il tribunale può anche emettere provvedimenti cautelativi con efficacia immediata affinché i beni dell'imprenditore fallendo non vengano dispersi (si punta così a sottrarre la gestione dell'azienda al fallendo, attribuendola ad un terzo): ciò si verifica dall’Art 15 VIII comma.
Successivamente si arriva poi ad una decisione: si potrà così avere o una sentenza di dichiarazione di fallimento, o un decreto di rigetto dell'istanza di fallimento. È possibile l'impugnazione della sentenza e tale atto viene chiamato reclamo, ed è attuabile dinanzi alla Corte d’Appello, reclamabile dal debitore e da chiunque sia interessato entro 30 giorni dalla precedente sentenza.
E' possibile un eventuale successivo ricorso di fronte alla Cassazione.
Il decreto che respinge la dichiarazione di fallimento può essere, sempre entro 30 giorni, reclamato da parte del creditore o dal pubblico ministero (che aveva chiesto il fallimento), con la Corte d’Appello che può confermare o revocare il decreto, trasmettendo gli atti che dichiarano il fallimento al tribunale.

Il legislatore ha introdotto un ulteriore presupposto per la dichiarazione di fallimento, ulteriore appunto a quello soggettivo e a quello oggettivo: tale presupposto è nascosto all'interno dell'’Art 15, difatti all'ultimo comma si accenna a debiti scaduti cioè non ancora pagati che, se dall'istruttoria prefallimentare risultano ammontare a una cifra inferiore ai 30.000 €, allora il tribunale respinge l'istanza. E’ questo il presupposto processuale della dichiarazione di fallimento, e viene definito processuale in quanto emerge in sede di istruttoria prefallimentare; se il creditore vanta un credito scaduto e non pagato per un ammontare inferiore a 30.000 €, deve cercare altri crediti presso altri creditori per superare tale soglia.
Nell'ipotesi in cui l'imprenditore abbia cessato l'attività o sia deceduto, può ancora essere dichiarato fallito? Secondo l'’Art 10 si può essere dichiarati falliti entro un anno dalla cancellazione dal registro delle imprese, e il fallimento deve intervenire entro l'anno (non basta l'istanza, ma deve essere stato dichiarato il fallimento).
-Art 10.
Fallimento dell’imprenditore che ha cessato l’esercizio dell’impresa.
“Gli imprenditori individuali e collettivi possono essere dichiarati falliti entro un anno dalla cancellazione dal registro delle imprese, se l’insolvenza si è manifestata anteriormente alla medesima o entro l’anno successivo.
In caso di impresa individuale o di cancellazione di ufficio degli imprenditori collettivi, è fatta salva la facoltà di dimostrare il momento dell’effettiva cessazione dell’attività da cui decorre il termine del primo comma.”

Tratto da DIRITTO DELLE PROCEDURE CONCORSUALI di Andrea Balla
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