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La politica nelle relazioni interpersonali


Sintetizza la presa di coscienza del fatto che la politica non si esprime solo nei palazzi del potere, ma inizia nelle relazioni interpersonali, soprattutto in quelle piccole società dove l’organizzazione politica si fonda sul principio di parentela e che rientrano nell’ambito del governo minimale. Popolazioni di cacciatori-agricoltori sono organizzate in bande, gruppi ristretti, tra la trentina e il centinaio di individui, legati tra di loro da vincoli parentali: in genere si dividono in due metà patrilineari tra le quali vigono regole di scambio matrimoniale. L’economia si basa quasi sempre sull’attività di caccia e raccolta e prevede una divisione sessuale del lavoro: i maschi si occupano della caccia, le donne della raccolta. Tutto ciò implica la pratica del nomadismo o del seminomadismo; le bande si muovono all’interno di un determinato territorio, da cui spesso prendono il nome, un territorio non definito con precisione e privo di confini reali, aperto anche ad altri. Le relazioni parentali forniscono la base delle gerarchie interne e determinano i fattori di integrazione tra gli individui del gruppo; le decisioni vengono prese dal consiglio degli uomini, all’interno del quale il pi anziano esprime una posizione di autorevolezza, anche se questo non gli conferisce alcuna forma di potere, come nessuna forma di potere viene espressa dal consiglio, dal momento che non esistono forme coercitive per il singolo. Tali società vengono definite egualitarie, ma non è esattamente così, dal momento che le donne sono escluse dal consiglio e non partecipano direttamente alle decisioni del gruppo. La struttura organizzativa delle bande non si limita ai legami parentali e territoriali, ma prevede anche l’istituzione di sodalizi tra bande diverse, come i sodalizi per classi di età o per generazioni, che estendono la rete delle relazioni al di fuori della ristretta cerchia dei parenti: politica e parentela si possono intrecciare.
La politica della parentela non è un’esclusiva dei piccoli gruppi: i nuer del Sudan meridionale vengono descritti come una società che non aveva capi. Appariva impossibile che una comunità di 300.000 individui potesse gestirsi senza avere dei referenti politici definiti, soprattutto nel periodo storico del colonialismo e dell’indirect rule. I nuer, quando agiscono politicamente (cioè affrontano decisioni inerenti la sfera comune e collettiva) lo fanno sulla base della loro appartenenza a unità di parentela come i lignaggi, o meglio i segmenti di lignaggi e i clan. Secondo Kuper, invece, i nuer costruiscono le proprie relazioni sociali sulla vicinanza territoriale, non esistendo neppure una parola in nuer che traduca la parola clan.
Siamo di fronte a un conflitto tra il punto di vista etico (rappresentazione dei medesimi fenomeni ad opera del ricercatore, ottica scientifica o dell’osservatore) ed emico (punto di vista degli attori sociali, loro credenze e loro valori, la cosiddetta ottica del nativo): non sempre le costruzioni logiche degli studiosi coincidono effettivamente con la percezione che gli attori hanno della loro organizzazione politica.

Tratto da IL PRIMO LIBRO DI ANTROPOLOGIA di Elisabetta Pintus
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