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La protomafia e l'abolizione del sistema feudale


Il discorso è confuso. Fin quando la protomafia si struttura come risposta all'abolizione del sistema feudale e alla democratizzazione della violenza e si mescola col calderone rivoluzionario, è difficile scorgerne i tratti peculiari, tutt'al più in un periodo come quello risorgimentale, quando violenza politica e violenza comune si amalgamavano rendendo impossibile distinguere fra chi si mobilitava per la rivoluzione, chi per accrescere la sfera dei propri poteri locali e chi per pura e semplice volontà di delinquere. Fortunatamente arrivano gli anni successivi al 1860, che portano un contributo decisivo di chiarezza in merito alla relazione tra forma organizzativa ed espressione politico – idelogica della mafia: dopo il 1861 la classe dirigente tornerà ad organizzarsi per conto suo nella massoneria; i facinorosi, invece, riprodurranno a loro modo i moduli settari. Negli anni Sessanta – Settanta viene portato a compimento un processo che aveva iniziato a manifestarsi già negli venti: il progressivo indebolimento delle motivazioni culturali e politiche delle sette carbonare ed il loro sempre più diffuso ridursi a strutture locali o parallele di potere. Venuta meno la lotta politica risorgimentale, era rimasta sul campo la scoria tossica della violenza mafiosa.
Ciò non deve fare assolutamente pensare che la questione mafiosa fosse allora priva di connotazioni politiche o che non continuasse a crescere negli spazi interstiziali tra l'alto ceto dei dirigenti ed il basso del minuto controllo territoriale, imponendosi come modello condizionante dei processi politici. Un condizionamento di cui lo Stato si rende conto e che si sforza di comprendere e definire. All'inizio indica nella mediazione e nella violenza il fattore competitivo primario e nella sociabilità ispirata ai modelli della massoneria il carattere originario del processo di ascesa di un ceto medio formatosi in buona parte tra Settecento e Ottocento e rafforzatosi nei decenni del riformismo borbonico e delle lotte risorgimentali.


Tratto da STORIA DELLA PEDAGOGIA di Gherardo Fabretti
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