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La riforma dell’art. 117 cost.


Dopo la riforma del Titolo V della Costituzione lo Stato non ha più la potestà legislativa generale.
L’attribuzione ai Comuni della generalità delle funzioni amministrative, salvo quelle che per assicurarne l’esercizio unitario siano conferite agli altri enti sulla base del principio di sussidiarietà, apre una visione indubbiamente dinamica della sussidiarietà.
Ciò comporta che, pur tenendo fermo che la materia dei rapporti tra Stato e confessioni è sottratta in via generale alla potestà normativa delle Regioni, il nuovo dettato costituzionale non esclude che le Regioni possano concorrere a strutturare il sistema dei rapporti tra pubblici poteri e confessioni religiose.
Il ruolo delle Regioni è però destinato a spiegarsi all’interno di un quadro preventivamente tracciato dalla legislazione statale, e si struttura prevalentemente attraverso la stipulazione di quelle intese di 2° grado di cui abbiamo parlato in precedenza.
A ciò si aggiunga che non poche materie, che ai sensi dell’art. 117 cost. sono di competenza regionale, presentano una marcata rilevanza ecclesiastica.
Sembra opportuno profilare una gerarchia delle fonti del diritto ecclesiastico italiano, ovvero la loro disposizione secondo una scala gerarchica, per effetto della quale nessuna norma proveniente da una fonte di grado inferiore può validamente porsi in contrasto con una norma proveniente da una fonte di grado superiore.

Tratto da DIRITTO ECCLESIASTICO di Stefano Civitelli
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