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La rivolta di Pugacev


Gli antagonismi sociali scoppiarono definitivamente nella ribellione di Pugacëv: Pugacëv fece proprie le lamentale dei cosacchi degli Urali e, approfittano del fatto che il Paese era in guerra con la Turchia, ne capeggiò la rivolta, trasformandola in una ribellione di massa grazie all’ingiustizia che caratterizzava il sistema sociale. Pugacëv si autoproclamò imperatore, sostenendo di essere Pietro III e di essere riuscito a sfuggire al complotto della moglie, creò una corte imperiale e annunciò lo sterminio dei funzionari e dei proprietari terrieri, l’affrancamento dalla servitù della gleba e il pagamento delle imposte per il popolo. Ma la rivolta presentava le solite carenze dei movimenti popolari in fatto di preparazione, coordinamento e giuda: dopo la sconfitta, Pugacëv venne consegnato alle forze governative e messo a morte.
La rivolta spinse Caterina a introdurre un nuovo sistema di governo locale per rimediare alle carenze nell’amministrazione e nell’organizzazione del Paese: per rafforzare il governo nelle province bisogna decentralizzare il potere, quindi si istituirono 50 gubernij (province), suddivise in uezdy (distretti). La struttura del governo locale rifletteva un programma di collaborazione con i proprietari terrieri: vennero formate delle società distrettuali della nobiltà e venne emanata una Carta della Nobiltà (’85), che confermò i privilegi della nobiltà e ne innalzò lo status sociale. A questo incremento delle posizioni della  nobiltà corrispose un rafforzamento della servitù della gleba che si estese a nuove zone.
In campo economico Caterina abbandonò il mercantilismo per introdurre la libera iniziativa e il libero scambio.

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