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La storiografia artistica del '600


Dobbiamo parlare in particolar modo delle fila che legano la Storia dell'arte di Winckelmann, massimo avvenimento dell'ultimo periodo Barocco, con l'età precedente; un'età , questa, la cui tessitura dorata traspare sempre sotto il velo di seta dell'opera del grande tedesco.
Nella storiografia artistica del Seicento in primo piano sta il Bellori. Il pragmatismo Vasariano è ancora forte in lui, e lo si vede chiaramente quando mette in relazione la vita disordinata del grande naturalista Caravaggio (di cui comunque riconosce l'importanza) con la supposta rozzezza e fierezza della sua arte. Un profilo dell'artista certamente unilaterale ed errato, ma che ha dominato per molto tempo, fino al giorno d'oggi.
L'ideale Vasariano della teoria del progresso rimane invariata; a cambiare, invece, è il termine finale, la metà del cammino progressivo: non più Michelangelo ma Raffaello. Almeno la storiografia artistica romano – fiorentina buttà giù dal piedistallo il Buonarroti e lo sostituisce con Sanzio. Bellori è uno degli esecutori materiali della detronizzazione, sostenendo che il Sanzio non da Michelangelo ma dagli antichi ha ricavato la sua maniera, soprattutto dall'antichità romana e dall'età augustea in particolare. Quasi con sofferenza si riconosce ormai il merito di Michelangelo come scultore. I tempi sono cambiati: Michelangelo inizia a subire gli attacchi della critica.
Non mancarono però gli attacchi e le opposizioni al culto di Raffaello e a quello dell'antichità, che la storiografia romana, quella “ufficiale”, proclamava. L'opposizione veniva dall'Italia Settentrionale, in particolar modo da Venezia, incline da sempre alla secessione (non dimentichiamo che già nel 1500 si era levata contro la modellizzazione di Michelangelo). La sollevazione, stavolta, non viene dall'ambiente letterario ma proprio dall'ambiente artistico, mosso dallo stesso spirito che li portava a proclamare la pittura come arte coloristica e non più arte basata sul disegno e il rilievo, come voleva l'ambiente fiorentino – romano. È oltremodo significativo, del resto, come i due più grandi pittori stranieri dell'epoca, Velazquez e Rubens, abbiano trovato i loro stimoli non nell'ambiente romano – fiorentino ma in quello settentrionale – veneziano, in particolar modo in Caravaggio, il più forte antagonista della maniera romana. Persino Bologna, che con Malvasia difendeva il vessillo
romano, finisce, per mano dello stesso Malvasia, per biasimare Raffaello e la sua “maniera statuina”, riferendosi alla Santa Cecilia di Bologna; commento che poi ritirerà. Il contrasto finisce per estendersi anche ai Paesi Bassi e la Francia, i primi parteggianti per l'antiromanismo del Rembrandt e i secondi parteggianti per l'ambiente romano, invitando lo stesso Bernini. Non mancheranno però nemmeno in ambiente francese le “eresie” e non poche saranno le opinioni favorevoli su Rubens e perfino su Rembrandt, digeribile dai francesi quanto Shakespeare.
Altro terreno di scontro sarà quello tra antico e moderno. Alessandro Tassoni, nei suoi Pensieri (1620, X libro) è uno dei primi a sollevare la questione, finendo per decidere in favore del secondo. Ma sarà il classicismo alla fine a vincere. L'influsso dell'antico ha condotto sia in pratica sia in teoria al classicismo europeo della seconda metà del Settecento, preparato dal Barocco di impronta romana. A questo obbedisce il Bellori quando ritiene la scultura moderna inferiore all'antica nonostante l'altissima stima attribuita a scultori come Algardi e Francesco Fiammingo (Francois Duquesnoy) e, anche se a malincuore, a Michelangelo. Duquesnoy è poi l'uomo del cuore di Bellori: secondo lui la sua statua di Susanna, nella chiesa al Foro Traiano, è quanto di più si avvicini all'ideale antico. Bellori finisce addiritturra per opporlo al Bernini, che viene fatto passare a bella posta sotto silenzio. Sul Duquesnoy è caratteristico l'atteggiamento che mostra verso le sue figure di bambini: la sua osservazione sulla sconvenienza di questi soggetti, ritratti in forma sforzata e moto necessario sconveniente rivelano la sua perspicacia.

Tratto da STORIA DELLA CRITICA D'ARTE di Gherardo Fabretti
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