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Le attività giuridicamenre autorizzate: l’attività medico–chirurgica e l'attività sportiva

Le attività giuridicamenre autorizzate: l’attività medico–chirurgica e l'attività sportiva


Quanto all'attività terapeutica, occorre innanzitutto escludere la possibilità di far capo alla scriminante dello stato di necessità (art. 54 c.p.), non soltanto perché essa è subordinata all'esistenza di un pericolo “attuale” che non sempre e non necessariamente il medico si trova a affrontare (spesso, anzi, il suo intervento è volto allo scopo di impedire che il pericolo diventi tale), ma soprattutto perché essa consente di agire contro la volontà del titolare del bene offeso: ciò che implicherebbe la soggezione del paziente alla decisione del medico. Non è peraltro sufficiente riferirsi al consenso dell'avente diritto, perché esso non potrebbe abbracciare le ipotesi di diminuzioni permanenti dell'integrità fisica (ad es.: l'amputazione di un arto, ancorché aggredito dalla cancrena). In realtà, l'intervento terapeutico è lecito come esercizio di un'attività giuridicamente autorizzata a tutela della salute allorché:
a)ci sia necessità terapeutica;
b)il consenso pieno, reale ed informato del paziente (salvo i casi in cui, per la sua incapacità a prestarlo, sia legittimato il rappresentante legale; soltanto in caso di assoluta urgenza e di impossibilità di interpellare anche il rappresentante, l'intervento potrà essere effettuato prescindendo dal consenso); questo consenso non ha niente a che vedere con il consenso dell’art. 50, infatti non ha efficacia giustificante ma serve per determinare le condizioni del legittimo esercizio.
c)la proporzione tra i sacrifici recati e i benefici terapeutici sperati;
d)il rispetto delle leges artis.

In realtà, se la condotta del sanitario è obiettivamente lecita, nel rispetto di tutte le suddette condizioni, l’intervento terapeutico in sé è giustificato dall’esercizio del diritto, mentre dell’eventuale esito infausto il medico non può rispondere per assenza di dolo e colpa.


L'attività sportiva

rappresenta anch'essa un'attività giuridicamente autorizzata, come risulta dalla istituzione di appositi organismi (CONI) finalizzati alla sua organizzazione ed al suo promovimento.  
Il fondamento di liceità degli eventi lesivi intervenuti nel corso di una competizione non può poggiare sull'art. 50 c.p. se non nell'ipotesi in cui essi si mantengano entro i limiti dell'art. 5 cc.
Ma in caso di eventi che si risolvano in una diminuzione permanente dell'integrità fisica (o nella morte), l'art. 50 c.p. non può essere applicato.
Il fatto commesso è tuttavia lecito se:
a)la competizione si è svolta sotto l'egida delle organizzazioni sportive legittimamente preposte al settore;
b)si è prestato consenso preventivo;
c)i partecipanti erano stati quafificati idonei alla gara dal punto di vista sanitario;
d)l'attività che ha causato l'evento è stata tenuta nel rispetto delle regole del gioco stabilite dai regolamenti ufficiali della disciplina sportiva.  
Secondo la giurisprudenza e parte della dottrina, la liceità non è esclusa dalla circostanza che l'evento lesivo sia stato provocato dalla violazione di una regola del gioco, quando tale violazione rientri nel normale comportamento dei contendenti e costituisca, quindi, un aspetto «fisiologico» del rischio consentito (ad es., nel caso di intervento «a gamba tesa» da parte di un calciatore; non invece se il calciatore sferra un pugno in volto all'avversario).


Tratto da DIRITTO PENALE di Beatrice Cruccolini
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