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Le caratteristiche dell'espressione critica cinematografica



Esiste uno scarto tra il desiderio di vitalità e novità dei critici e la critica come macchina pigra. Per poter parlare bene di questa apparente pigrizia della critica è necessario abbandonare la prospettiva dall’alto, sbilanciata tra passato e futuro, e rivolgere l’attenzione al presente materiale della critica, cioè alla critica come mestiere, con le sue regole, i suoi vantaggi, e le sue mosse consentite.
Casetti ha individuato quattro principali aree concettuali alle quali è possibile ricondurre l’espressione critica cinematografica:
1) si designa un dato testo, cioè un singolo pezzo o brano con un proprio oggetto, con una propria fisionomia, con una propria esistenza materiale;
2) rinvia all’esistenza di un insieme di testi di un certo tipo, o di una classe di discorsi simili tra loro;
3) designa una norma, e cioè quel qualcosa che permette di unificare dei testi diversi sotto un’unica etichetta e che insieme li distingue da qualcosa che è diverso;
4) un’istanza, e cioè qualcosa che spinge a produrre certi discorsi, incanalandoli lungo certi itinerari e obbligandoli a rispettare certe regole. L’istanza designa il modo in cui la critica cinematografica è quello che è, e indica il meccanismo interno dei singoli testi mettono in moto o la regola che istituisce l’insieme nel suo complesso.
È entro le coordinate della critica come norma che stabilisce uno scarto differenziale rispetto ad altri tipi di discorso e della critica come sistema, enunciate ai punti 3 e 4, che si vorrebbe collocare riflessioni seguenti. È entro queste due coordinate che i contributi analizzati fino ad ora non hanno voluto porsi: da una parte un sistema di regole discriminanti, dall’altra una tacita convenzione che indirizza e tipicizza i saperi.
Il fatto che la critica non è mai esistita se non come istituzione o come effetto trompe l’oeil, mentre sono esistiti ed esistono i critici di cinema. La cosiddetta critica cinematografica è esistita tutt’al più come pratica di scrittura; o addirittura come genere letterario.
La scorciatoia di identificare scrittura e critica, nella sua apparente semplicità, finisce col porre più questioni di quelle che vorrebbe risolvere: ammesso che la critica sia scrittura restano comunque da definire i limiti istituzionali di tale scrittura.
La nozione di scrittura deve comunque fare i conti con la nozione di istituzione, di discorso istituzionale, che può essere affrontato secondo varie prospettive. Qui si vorrebbe privilegiare l’approccio empirico, e quindi l’indagine sul modo in cui la critica cinematografica è ciò che è, attraverso una serie di occorrenze concrete del discorso interpretativo, al fine di portare in luce il meccanismo interno che i singoli testi mettono in moto.
Prima di fare ciò è però opportuno soffermarsi su un’altra modalità di studiare la critica come istituzione, che è quella delle immagini sistematiche a tutto campo.
Il rapporto teoria-esempi, e più in generale quello teoria-verifica empirica, non ha mai cessato di fare da oggetto di discussione. Nei Film Studies esiste una tendenza(duramente criticata dalla corrente di studio dei cognitivisti angloamericani) soprattutto di derivazione psicanalitica e testualista a verificare la validità delle opzioni teoriche sul piano dell’esemplificazione interpretativa.
Quando si fa teoria della critica sarebbe forse più opportuno mantenere un atteggiamento meno referenzialista; se si tratta di condurre verifiche empiriche è nel tessuto del ragionamento critico più che nelle caratteristiche dei singoli film che andrebbero ricercati degli esempi.

Tratto da CRITICA CINEMATOGRAFICA di Nicola Giuseppe Scelsi
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