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Le funzioni principali della critica cinematografica



Le funzioni principali della critica sono tre:
1) funzione storica. Attraverso la quale diventa possibile collocare l’opera analizzata in una prospettiva contestuale più ampia; sono riconducibili a questa funzione anche le discipline filologiche e gli studi delle fonti che consentono un approfondimento sempre maggiore delle condizioni materiali originali dell’oggetto considerato.
2) funzione teorica. Che ha il compito di fornire i criteri per un inquadramento preciso del momento storico. La funzione storica non basta a se stessa poiché, nel continuum dell’esistenza, è necessario introdurre un criterio di selezione, di definizione del campo, degli oggetti e dei metodi d’analisi. Menna definisce indispensabile l’interazione di queste due funzioni.
3) funzione critica. È il completamento naturale delle due precedenti poiché l’attribuzione di senso che storia e teoria contribuiscono insieme a porre in atto nei confronti di una data opera, non può veramente realizzarsi senza che si attribuisca a quell’opera anche un valore per mezzo del giudizio critico. È questo il momento più normativo dell’atto interpretativo: la conoscenza si fa prassi e il critico oscilla tra il piano della comprensione – storia e teoria – e il piano del giudizio; si esce dal campo della verità per entrare in quello della validità.
Ci si può chiedere di una classificazione di questo genere se essa sia realmente necessaria e legittima. Menna afferma che esiste una distinzione tra le funzioni, ma per cogliere il cogito critico nella sua pienezza è necessario vederlo come un’interazione continua dei tre momenti. La tripartizione risponde ad una doppia esigenza di carattere metodologico: la necessità di evitare il lassismo stitico e il proposito di ricondurre la ricerca storico-teorica ad un principio guida.
Dietro le parole di Menna si scorge un atteggiamento che opera anche nel contributo di De Marchi e che riguarda spesso le indagini definite qui sistematiche: una netta distinzione tra questioni di principio e questioni di fatto.
Menna si rende conto della complessità delle stratificazioni dell’edificio critico e di fatto i suo discorso riconosce l’aspetto di irriducibile dispersione del momento interpretativo quando parla del carattere contaminato dell’operazione critica condividendo così l’idea di Anceschi secondo cui: da un lato, la legge interna di sviluppo della critica pare dichiararsi come un continuo processo verso le strutture di un’ideale autonomia, dall’altro lato, la critica si mostra irriducibile ad una pronunzia teorica univoca.
Se è vero che per principio è utile all’analisi parlare di strutture costanti e funzioni stabili, di fatto le cose sono assai più complicate ed è inevitabile dare il giusto peso all’elemento-complessità.

Tratto da CRITICA CINEMATOGRAFICA di Nicola Giuseppe Scelsi
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