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Le melodie centriche



La stragrande maggioranza dei modelli melodici, sono intervalli o derivano da intervalli. A un livello poco più elevato, gli intervalli ci sono ancora, ma la melodia, muovendosi liberamente verso l’alto e verso il basso, ritorna continuamente alla stessa nota di mezzo, che spesso funge sia da iniziale che da finale, e anche da nucleo sempre ricorrente nel corso del motivo. Tali sono le melodie centriche. Queste possono essere considerate responsabili dei concetti di tonica e dominante nella musica armonica, queste ultime hanno come le melodie centriche una funzione stabile nella melodia senza rientrare in uno schema di intervalli. Molti esempi di questo tipo si trovano nella liturgia degli ebrei babilonesi.
La cronologia relativa degli schemi centrici si può ricostruire a partire da due fatti: essi non possono essere esistiti nello strato cui appartengono i motivo a intervallo unico in quanto necessitano di almeno un grado superiore e uno inferiore, quasi come un centro che funge da base comune e da perno. Poi, l’origini di questo tipo viene complessivamente ricondotta allo strato delle melodie a doppio intervallo. Ascoltando una melodia a doppio intervallo in cui la nota di mezzo predomina per importanza, posizione e frequenza, è bene valutare due possibilità: se è una melodia autenticamente centrica oppure se è una melodia a intervallo unico con in più un affisso in alto o in basso. Partendo dal presupposto che il centro ha un’importanza 4 volte maggiore di ciascuna delle note esterne, la risposta corretta si trova nel metodo statistico ovvero trovare quale sia il numero di unità di tempo in cui si presentano le note.
Soltanto quando la nota centrale è più frequente delle note esterne è possibile parlare di motivi centrici, la distanza dal centro alle note esterne è irrilevante.
Moltissimi motivi centrici sono in realtà terze doppie che l’uso consueto degli epiteti triade e fanfara sottrae a una diagnosi corretta. Un caso particolarmente interessante è costituito dalla doppia quarta., in cui la nota centrale, la mese dinamica dei greci, è il cardine e il punto d’innesto dei due tetracordi. Il centro funge abitualmente sia da iniziale che da finale, ma non obbligatoriamente. Alcune volte esso inizia la melodia ma non la conclude, altre la conclude ma non la inizia. Moltissime melodie centriche si possono far risalire a quelle recitazioni su un solo tono; parlo di configurazioni melodiche in cui la nota centrale viene ripetuta tanto frequentemente che ogni deviazione iniziale intermedia o finale è quasi trascurabile. Le prove di tale ripetizione centrica sono evidenti nei cosiddetti toni salmodianti del canto gregoriano che forniscono il modello per l’esecuzione dei salmi della chiesa cattolica. Il centro chiamato tenor è ripetuto ogni qualvolta lo richiede il testo; un initium precede il tenor da sotto, una flexa consente alla voce di rilassarsi su una tonalità più bassa prima che la mediatio descriva un giro semicadenza intorno al centro. Poi il tenore procede con il secondo verso del testo e conclude con una terminatio. Queste melodie rappresentano il passaggio da semplici forme a due intervalli di canto centrico a strutture più ampie (2 o più note sopra e sotto il centro), quindi il passaggio dalla semplice centricità con due gradi, uno in alto e uno in basso, a quello della centricità a gradi concentrici illimitati. Applicato alla melodia strumentale si parla di centro tonale applicato all’accordatura e agli schemi scalari degli strumenti musicali antichi; i greci organizzarono il complesso delle note attorno a una mese un centro, un nome comune che denotava 3 diversi oggetti: la corda di mezzo della lira, il centro dello spazio musicale, e il centro di ognuna delle ottave modali. Questo stile acrobatico fu assai diffuso in india, Pakistan, Grecia antica.

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