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Le opportunità derivanti dall’utilizzo delle operazioni di cartolarizzazione per le banche

La cartolarizzazione apre nuove prospettive alla banche sia in qualità di originator sia attraverso la partecipazione, in varie forme, al business del loro confezionamento e della loro gestione. Sotto il primo profilo, cartolarizzando i crediti di cui sono titolari, gli intermediari creditizi sono in grado di focalizzare la loro attività laddove hanno i maggiori vantaggi strategici, cioè nell’origination dei prestiti e nel loro servicing, superando i vincoli costituiti alla dimensione della raccolta e dalla necessità di limitare il rischio di credito a cui sono esposte. Dal punto di vista economico, questo consente agli intermediari di sostituire ricavi da margine di interesse con ricavi da commissioni, migliorando la redditività quando i costi di remunerazione della raccolta salgono, restringendo la forbice dei tassi. Le operazioni di cartolarizzazione sono in particolare attraenti per istituti di credito di piccola dimensione, per i quali è più difficile accedere da una parte ai mercati obbligazionari per ottenere risorse e dall’altra ai prenditori di fondi non operanti nell’area geografica in cui sono radicati. Alienando i loro cespiti, questi intermediari possono espandere l’attività di concessione del credito senza doversi finanziare esternamente e, se il rischio di credito viene effettivamente trasferito, senza il vincolo costituito dalla necessità di diversificare il portafoglio. Tuttavia, il trasferimento del rischio di credito con una cartolarizzazione classica è condizionato alla limitazione di prestazione di garanzie da parte dell’originator; il che avviene solo quando vengono ceduti pool di attivi che presentano un rischio di default molto basso. Inoltre, gli elevati costi di ristrutturazione dell’operazione sono esclusivamente giustificati da consistenti emissioni di titoli. Le banche di piccola dimensione hanno da entrambi i punti di vista gravi handicap. La consistenza delle cessioni (e quindi delle emissioni di titoli) che esse sono individualmente in grado di sostenere è per forza modesta, e, per quanto riguarda il contenimento del collateral risk, il maggiore problema è costituito dal fatto che i prestiti, anche se singolarmente di buona qualità, presentano un’elevata correlazione di rendimenti, il che riduce l’effetto positivo della diversificazione. La vendita dei propri crediti a una conduit può essere pertanto particolarmente vantaggiosa per queste banche, soprattutto se intendono specializzarsi nella funzione di origination di prestiti e sono disposte, almeno in parte, a rinunciare al servicing dei cespiti, che nella gran parte dei casi viene gestito direttamente dall’intermediario che fa da collateral manager del veicolo emittente CDO. Alleandosi, infatti, con un intermediario che ha costituito una conduit per il perfezionamento di una serie continuativa di operazioni di cessione, gli originator si svincolano dalla necessità di raccogliere risorse per finanziare l’attività di concessione di prestiti e hanno indirettamente accesso al mercato mobiliare, diventando così in grado di offrire ai propri prenditori prestiti con caratteristiche diverse da quelle usuali. Sotto il secondo profilo, l’offerta agli originator dei servizi necessari per perfezionare e gestire operazioni di cartolarizzazione offre agli intermediari che si propongono la possibilità di ottenere ricavi da commissione. L’entrata nel comparto è relativamente meno costosa per gli intermediari che già presidiano il segmento dell’organizzazione di consorzi di collocamento e della distribuzione di titoli su base internazionale, perché questi, essendo in grado di garantire ai cedenti i crediti una distribuzione ad ampio raggio delle ABS presso gli investitori istituzionali e una liquidità minima al mercato secondario dei titoli, sono naturalmente favoriti nell’acquisizione di clientela. Tuttavia, siccome le altre funzioni che è necessario svolgere per portare a termine l’operazione sono numerose e soprattutto richiedono competenze più vicine a quelle possedute dagli intermediari creditizi più che a quelle degli intermediari mobiliari puri, il business della cartolarizzazione lascia spazio, anche a istituzioni, diverse dalle investment bank di maggiore nome, che intendono perseguire strategie di nicchia. Queste considerazioni riguardano in particolare le funzioni di arranging e servicing dell’operazione. L’arranging, comportando lo svolgimento di compiti di tipo consulenziale relativamente peculiari e non necessitando di impiego di capitale, può vedere la partecipazione al mercato anche di boutique finanziarie di piccola dimensione, che, attraverso partnership con intermediari in grado di presidiare la fase di commercializzazione delle ABS, riescono a proporre in modo competitivo i loro servizi.
Soprattutto nella fase di decollo del mercato, quando le sue potenzialità non sono ancora chiare, intermediari locali, che vantano relazioni di clientela derivanti da altri tipi di operazioni con gli originator, possono risultare favoriti rispetto agli intermediari esteri, proprio perché il costo di acquisizione delle competenze necessarie per strutturare l’operazione è per loro meno oneroso, grazie allo sfruttamento di economie di scopo con l’attività usuale. La redditività dell’operazione per l’arranger puro sta nella differenza fra le commissioni percepite e i costi sostenuti, che comprendono la remunerazione delle risorse utilizzate per lo studio di fattibilità dell’operazione (interne ed esterne) e la definizione della struttura dell’operazione, oltre che la copertura dei costi di struttura. Come di norma per lo svolgimento delle attività consulenziali, l’arranger viene remunerato con una commissione che copre le spese sostenute per la fase di studio di fattibilità dell’operazione (retainer fee), mentre in caso di effettivo perfezionamento dell’operazione l’arranger viene compensato con una success fee, che copre anche le spese legali affrontate per la costituzione del veicolo, per un importo complessivo pari a circa lo 0,35-0,50 per cento dell’importo raccolto dall’originator con la cartolarizzazione. Il servicing è una funzione prossima a quella normalmente svolta dagli intermediari creditizi nella gestione dei rapporti con i debitori e quindi più facilmente presidiabile da intermediari di questo tipo. Vale la pena di sottolineare però le difficoltà di svolgimento della funzione di servicing (soprattutto quando esse permangono in capo all’originator), approfondendo il ruolo di questo soggetto. Quando l’originator mantiene il presidio delle relazioni di clientela, perché i compiti di servicing siano efficacemente svolti è necessario che le procedure di cash management utilizzate rimuovano commistioni fra i fondi di spettanza dell’emittente delle ABS da quelli dell’originator, in modo da annullare o almeno ridurre il rischio che tali risorse rientrino nell’attivo patrimoniale, divisibile fra tutti i creditori, in caso di fallimento. Inoltre, le procedure di gestione dei flussi prodotti dagli attivi ceduti devono consentire di identificare correttamente i pagamenti anticipati da parte dei debitori ceduti, di individuare ritardi nelle scadenze e pagamenti parziali delle rate previste nei piani di ammortamento dei prestiti. Da questo punta di vista, quanto più complesse sono le clausole del contratto originariamente stipulato con i debitori ceduti, tanto maggiore la difficoltà del ruolo di servicer. Per esempio, qualora gli accordi intercorsi con i debitori contemplassero modifiche delle caratteristiche dei contratti in occasione di particolari avvenimenti, va considerata la possibilità che tali modifiche si traducano nell’attivazione di garanzie interne alla cartolarizzazione. Questo potrebbe comportare un’alterazione della struttura della remunerazione delle diverse classi di sottoscrittori oppure l’obbligo di intervento del servicer, chiamato a reinvestire i flussi generati dagli attivi, o a mettere a disposizione dei sottoscrittori le commissioni di servicing per ripianare le perdite così generatesi. Ancora, va considerato il caso in cui i debitori ceduti mantengano rapporti con l’originator, utilizzando prodotti diversi dal finanziamento cartolarizzato. In questo frangente è necessario che le procedure di raccolta siano in grado di distinguere quanto pagato dal prenditori di fondi a diverso titolo. Anche tutti i rapporti intercorrenti con chi si occupa dei versamenti  ai possessori dei titoli devono essere opportunamente gestiti. Le procedure di cash management del servicer devono consentire un efficiente interfacciamento con il soggetto che ha mandato di pagamento, in modo che il rischio di ritardi o errori nel versamento dei fondi sia minimizzato. Oltretutto, in genere tali rischi sono sopportati dallo stesso originator/servicer, per esempio con il pagamento della commissione per l’utilizzo di liquidity line messe a disposizione da terzi. Il ruolo di servicer comporta poi l’onere di produzione di informativa interna ed esterna circa la performance del portafoglio di crediti. I destinatari dell’informativa esterna sono l’emittente dei titoli, ma anche i trustee incaricati dei pagamenti ai sottoscrittori, i credit enhancer esterni e le società di rating, che periodicamente rivedono il giudizio sull’emissione. A ciò si aggiunge la necessità di ottemperare alla produzione di informativa contabile pubblica, dato che generalmente l’emittente delle ABS non è dotato di personale amministrativo che sia in grado di occuparsi del disbrigo di tali obblighi. Quindi, a differenza del compito di arranging puro, lo svolgimento della funzione di servicing implica il sostenimento di costi fissi piuttosto elevati. In primo luogo, tali costi sono dovuti alle spese per l’approntamento di sistemi informatici adeguati, e in seconda battuta alla necessità di fornire un training adeguato al personale preposto alla gestione dei rapporti con i debitori ceduti. Pertanto, solo soggetti con una disponibilità di capitali adeguata riescono a entrare nel comparto. L’utilizzo del capitale e i costi vivi di gestione del portafoglio di cespiti cartolarizzato vengono coperti da una servicing fee di importo generalmente compreso fra lo 0.2 e lo 0.35 per cento delle risorse raccolte con l’emissione delle ABS.

Tratto da CORPORATE E INVESTMENT BANKING di Alessandra Depaola
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