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Le rappresentazioni collettive


Nelle opere successive l’autore sostituirà al concetto di coscienza collettiva, quello di “rappresentazioni collettive”. Esse sono le forme del pensiero cognitivo, le credenze religiose, i miti, le norme e i valori morali. La novità introdotta da questo concetto è l’idea che la cultura, oltre ad avere un carattere comune e comunicabile, ha anche un carattere oggettivo e istituzionale. Le rappresentazioni collettive sono delle istituzioni sociali. Il moderno individualismo perde la sua ambiguità in quanto si presenta come una vera e propria norma morale che orienta i comportamenti degli individui. Le rappresentazioni collettive si distinguono da quelle individuali, che sono stati mentali di natura psicologica, per il fatto che hanno caratteristiche sui generis, relativamente autonome. Egli sostiene che esiste una parte non del tutto cosciente della rappresentazione che è sentita come obbligatoria, che si impone cioè in maniera costrittiva e vincolante. Questi caratteri, esteriorità e obbligatorietà, che definiscono ciò che per Durkheim sono fatti sociali, costituiscono la prova che questi modi di pensare e agire non sono opera dell’individuo, ma derivano da una fonte di autorità che lo oltrepassa. Il substrato da cui derivano non è il singolo individuo ma la dinamica specifica che si viene a creare quando più individui si associano, entrando in relazione reciproca (pag. 32).
Mauss riprende l’idea durkheimiana del carattere istituzionale e oggettivo del mito e, accostandolo al linguaggio, ne fa un sistema simbolico istituzionalizzato, un comportamento verbale codificato che trasmette, come la lingua, modi di classificare e di organizzare l’esperienza.
Per D. e la sua scuola la cultura assume un posto centrale nell’intera teoria sociologica. Se ne mette in luce il duplice carattere, cognitivo e morale; si introduce l’idea che i concetti e le credenze operino entro contesti sociali da cui dipendono; si insiste sul fatto che essi non esistono isolatamente ma sono il frutto di un’attività cooperativa; se ne sottolinea il carattere istituzionale; si elabora la nuova idea che le norme e le categorie mentali hanno bisogno del sostegno dei rituali per diffondersi e mantenersi.
Durkheim non è interessato a stabilire la verità o falsità di un concetto, diversamente da Comte pensava che le credenze comuni a una società non contassero per il loro grado di verità, ma per il fatto di costituire un elemento ordinatore e regolativo del comportamento individuale.
Con la scuola durkheimiana, la cultura assume una consistenza sua propria, che rende inutile o accessoria l’analisi delle motivazioni, degli interessi, del significato soggettivo che l’attore sociale vi attribuisce. Tuttavia l’autore non dà alla cultura un significato autonomo in quanto crede che la società non esista senza gli individui e che le rappresentazioni collettive non esistano senza individui che le pensano. Piuttosto metteva in evidenza che queste ultime hanno assunto un’oggettività e un’esteriorità del tutto particolare rispetto agli individui che ne fanno uso e in parte le producono e le modificano.

Tratto da SOCIOLOGIA DEI PROCESSI CULTURALI di Manuela Floris
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