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Le soluzioni monarchiane all'unità divina

Le soluzioni monarchiane all'unità divina 

Alla fine del II secolo vengono date due soluzioni, entrambe definite MONARCHIANE ma che in realtà sono antitetiche.
- Monarchianismo dinamistico, detto anche Adozionismo. L'adozionsimo porta alle estreme conseguenze la posizione subordazionistica degli apologisti. Teodoto sosteneva che Gesù era soltanto un uomo sul quale il battesimo aveva fatto sì che scendesse la forza di Dio elevandolo al rango di figlio adottivo. Si salvava dunque l'unità divina sacrificando la divinità di Gesù e vedendolo solo come un figlio adottivo. Posizione razionalistica che rifiuta l'incarnazione, fu accolta solo dai ceti più intellettuali e condannata dal vescovo Vittore.
- Monarchianismo modalistico, detto anche Modalismo. Ebbe una diffusione molto più vasta ed è la vera forma di monarchianismo. La gente semplice rifuggiva le soluzioni troppo intellettuali (Logos, Adozionismo) e non accettava comunque di rinunciare alla divinità di Gesù. Noeto, un cristiano di Smirne, sembra l'ideatore di una nuova soluzione, che conosciamo solo perché Ippolito ne parla nel Contra Noetum e nella Refutatio omnium haeresium. Noeto affermava con forza la divinità di Gesù e salvava l'unità di Dio riducendo il Padre e il Figlio a forme, a modi di essere, della divinità, quindi Dio stesso aveva sofferto sulla croce. Epigono e Cleomene, suoi discepoli, portarono il modalismo a Roma, sostenuto anche da un certo Prassea, di cui parla Tertulliano nel suo Adversus Praxean. Il modalismo non considera lo Spirito Santo, dato che Ippolito lo accusa di bestemmiare contro lo Spirito Santo e si impegna a difendere il trinitarismo. Una dottrina certamente più vicina ai ceti popolari e che per questo ebbe molta diffusione. Attenuava però molto la paradossalità del vivere cristiano e il contrasto ideologico col mondo romano. In quanto agli scritti omiletici Giustino ce ne parla molto nella sua Apologia. L'intensa vita comunitaria dei cristiani si incentrava nella liturgia soprattutto quella eucaristica: consacrazione del pane e del vino che avveniva tra canti, preghiere, letture bibliche e relativa spiegazione (ossia l'omelia). I canti erano ripresi in parte dall'AT, soprattutto dai Salmi, ma in parte venivano improvvisati ed è facile immaginare che l'improvvisazione potesse esemplarsi sui moduli tipici di quelle poesie di origine semitica che pur tradotte in greco erano molto singolari. Ben poco di queste improvvisazioni sarà messo per iscritto. Ricordiamo le Odi di Salomone che ci sono giunte in traduzione siriaca ma pare che siano di origine greca. I temi centrali sono l'incarnazione, la passione e la risurrezione del Logos, suggestivamente proposti in forma allusiva e di non facile decifrazione in un'atmosfera di simbolismo misticheggiante che arieggia il tono del vangelo di Giovanni e di certa letteratura gnostica.
Ci sono giunte anche due omelie: una di Melitone di Sardi e una anonima chiamata In sanctun Pascha. Siamo ancora in ambiente asiatico tra la seconda metà del II e il III secolo, in una temperie ancora fortemente giudaizzante. La Pasqua cristiana infatti viene ancora celebrata al modo dei giudei con la lettura del canto 12 dell'Esodo che spiega l'istituzione della Pasqua. Melitone insiste nel significare la nuova Pasqua cristiana con Cristo agnello di Dio. Le due omelie hanno una prosa studiatissima, in cui si alternano passi prosastici e passi che articolano il discorso in forma fortemente scandita e ritmata, con sequenze di cola di breve estensione, tra loro connessi con assonanze e figure retoriche di ogni genere. L'alternanza vuole isolare le parti ritmate per darle più rilievo. L'impressione globale è quella di un grande decoro formale voluto allo scopo di mettere in rilievo la nobiltà della materia trattata e il significato singolare della liturgia pasquale nell'ambito del culto cristiano. La convergenza fra i due testi fa capire che non ci troviamo davanti all'iniziativa di un solo personaggio ma ad una forma espressiva tradizionale in quell'ambiente, destinata a scomparire col declino delle fortune giudaiche nella cristianità asiatica.

Tratto da LETTERATURA CRISTIANA ANTICA di Gherardo Fabretti
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