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Libertà religiosa e libertà di coscienza: l’ateismo e l’obiezione di coscienza


La nostra Costituzione, a differenza di altre, non menziona espressamente, né contiene riferimenti formali alla libertà di coscienza.
Tuttavia, nessuno oggi dubita che la libertà di coscienza sia riconducibile tra le libertà costituzionalmente garantite.
Parte della dottrina richiama in proposito l’art. 2 cost. inteso come “clausola aperta”.
Altri fanno discendere il riconoscimento della libertà di coscienza direttamente dall’art. 19 cost., dal momento che “il presupposto di tutte le facoltà discendenti dal diritto di libertà religiosa è quello attinente alla libertà di coscienza”.
In un regime di pluralismo confessionale e culturale, si deve necessariamente avere una pari tutela della libertà di religione e di quella di convinzione comunque orientata, conformemente all’interpretazione dell’art. 19 cost. (che tutela la libertà di religione, non solo positiva la anche negativa: vale a dire, anche la professione di ateismo o di agnosticismo).
Tanto rilevato, occorre sottolineare, in particolare, come con l’espressione obiezione di coscienza si indica il rifiuto, opposto da un individuo per motivi di coscienza, di assoggettarsi ad una condotta che in principio sia giuridicamente esigibile.
L’obiezione di coscienza nasce da un conflitto improprio di doveri.
Il soggetto obiettore si trova, infatti, nella posizione di dover scegliere tra due obbedienze: al complesso di norme giuridiche che compongono l’ordinamento giuridico statale, il prestatore oppone la presenza, nel foro della coscienza, di un dettame di carattere etico o religioso che vieta di tenere il comportamento prescritto.

Tratto da DIRITTO ECCLESIASTICO di Stefano Civitelli
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