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Lo scopo di lucro


Dalla formula dell’art. 2247 c.c. il perseguimento dello scopo di lucro e della ripartizione tra i soci dell’utile conseguito sembra essenziale al contratto di società: in realtà la definizione del codice deve essere precisata almeno sotto due profili.
Il primo profilo riguarda il fatto che la stessa legge prevede fattispecie di società con un fine diverso da quello lucrativo.
Il secondo profilo riguarda la legislazione di settore ove sono state previste diverse ipotesi di società speciali senza scopo di lucro.
Da ultimo il d. lgs. 155/2006 ha introdotto una fattispecie di società senza scopo di lucro a carattere più generale: l’impresa sociale.
Con questo termine si definiscono le organizzazioni private, ivi comprese le società, “che esercitano in via stabile e principale un’attività economica organizzata al fine della produzione o dello scambio di beni o servizi di utilità sociale, diretta a realizzare finalità di interesse generale”.
Le organizzazioni, e dunque anche le società, che esercitano un’impresa sociale e vogliono essere considerate tali, non possono avere scopo lucrativo: devono infatti “destinare gli utili e gli avanzi di gestione allo svolgimento dell’attività statutaria o ad incremento del patrimonio” e non possono distribuire utili e avanzi di gestione in favore dei soci.
Tuttavia, prevale ancora l’opinione che i casi di società senza scopo di lucro siano eccezioni: quindi, in assenza di una specifica norma di deroga, una società non può essere iscritta nel registro delle imprese ove si proclami senza fini di lucro.

Tratto da DIRITTO COMMERCIALE di Stefano Civitelli
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