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Lo strabismo mercantile della Corte di Giustizia


La logica di mercato sottesa all’impostazione adottata dalla Corte si svela con chiarezza nella giurisprudenza relativa alle liste di attesa.
Attraverso le liste di attesa un sistema sanitario persegue l’obiettivo di ottimizzare le risorse delle quali dispone dando la priorità alle prestazioni mediche valutate più urgenti.
Riconoscere ad un paziente il diritto a ricevere “tempestivamente” tali prestazioni a spese del sistema stesso in ragione del suo personale quadro clinico, ignorando l’ordine di priorità fissato con le liste di attesa (e dunque i quadri clinici di chi lo precede nella lista), significa privilegiare a bisogni di cura meno urgenti rispetto a bisogni più urgenti; significa tutelare il “diritto alla salute” di un singolo paziente a scapito del diritto alla salute di tutti gli altri.
L’utilizzo dell’art. 49 Trattato CE nell’ambito dei servizi medico-sanitari rafforza il diritto alla salute del cittadino in un senso che contraddice i principi universalistici e solidaristici sui quali si fondano i sistemi sanitari nazionali.
Di ciò è eloquente spia un inciso contenuto nella sentenza Muller-Faurè con il quale la Corte giustifica la sua conclusione in merito alla non subordinabilità del rimborso di spese mediche extra-ospedaliere ad una procedura autorizzatoria: nessun rischio ne consegue per l’equilibrio finanziario di un sistema previdenziale in ragione del fatto che “le barriere linguistiche, la distanza geografica, le spese di soggiorno all’estero e la mancanza di informazioni sulla natura delle cure ivi dispensate” scongiurano scenari di esodi di massa di pazienti da uno Stato ad un altro.
In altre parole, il diritto ad accedere a cure mediche all’estero garantito dal mercato interno è configurato dalla Corte come un diritto cui non hanno accesso tutti e che viene meno nel momento in cui diventa “universale”, perché comporterebbe in tal caso la rottura dell’equilibrio finanziario di un sistema previdenziale: è un diritto riservato ad una élite.
Sotto questo profilo, non è infondata la critica di quanti scorgono nella giurisprudenza della Corte il rischio di favorire una sorta di solidarietà al contrario, consistente nel far gravare sui sistemi di protezione sociale nazionali (e, dunque, in primo luogo, sui lavoratori) il costo dei privilegi dei ceti medio-alti.
L’utilizzo del test di proporzionalità dovrebbe condurre a conclusioni opposte rispetto a quelle cui giunge la Corte: tanto più lunga è l’attesa e tanto meno “efficienti” sono le prestazioni, quanto più probabili sono le richieste di ricevere le stesse in altri Stati membri e tanto più gravi saranno gli effetti sulla tenuta finanziaria del sistema sanitario interessato; di conseguenza, tanto più giustificato dovrebbe considerarsi il diniego di autorizzazione alla luce del test di proporzionalità.
Se la Corte di Giustizia giunge a conclusioni opposte è perché, come detto, non considera a sufficienza la dimensione “collettiva” e pubblica del diritto alla salute.

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