Skip to content

Modellare il corpo


ebbene presenti varietà somatiche, polimorfismi e variabili genetiche, il corpo come apparato biologico può essere considerato come universale, il denominatore comune dell’essere umani, e come tale è oggetto di studio di biologi, medici e antropologi fisici. Altro dato universale è che non c’è una cultura che accetti il corpo così come ci viene donato da Madre Natura: nessuna società che accetti di lasciare i capelli incolti, che non limiti la crescita delle unghie, che non applichi una qualche sostanza sulla pelle. Il corpo viene inciso, modellato, amputato, come a voler sancire un distacco dalla natura, marcarne la differenza; l’uomo e il suo corpo così come sono sono carenti, non funzionano come dovrebbero.
I capelli vengono tagliati, acconciati, colorati, fino a diventare decorazione, cornice per il volto, espressione di una moda, di un gruppo, di un’epoca. Negli anni Sessanta-Settanta, portare i capelli lunghi significava aderire a un modello ideologico di contestazione, come pure i punk con le loro creste colorate. L’adozione dei dreadlocks, rappresenta un’idea di resistenza e un’identità legate a un’origine africana attraverso la venerazione del ras tafari, l’imperatore di Etiopia Haile Selassie; per la maggior parte dei giovani che aderiscono al movimento rasta, significa aderire al pensiero musicale portato avanti principalmente da Bob Marley. Nell’Africa occidentale le pettinature femminili assumono significati ben precisi, non solo connessi all’appartenenza a un gruppo, ma anche alla condizione della donna che le porta.
Le pitture facciali dei nativi americani davano origine a un vero e proprio codice comunicativo, come pure le pitture corporali dei nuba del Sudan. L’utilizzo di cosmetici per sfumare il colore della pelle del viso o per sottolineare i tratti degli occhi o delle labbra risponde non solo alle mode, ma anche a un nostro stato d’animo. Presso gli hagen della Nuova Guinea, colorate pitture corporali e decorazione con piume indicano un big man, capo eletto dal gruppo.
In altri contesti si vuole invece disegnare e scolpire il corpo in maniera irreversibile, come i tatuaggi, pratica nata in Polinesia (serviva a distinguere lo status sociale degli individui) e adottata dai marinai dei mari del Sud, diventando in certi casi un marchio punitivo e d’infamia, impresso sulla pelle di galeotti, prostitute e omosessuali. Con il passare del tempo perde la connotazione dell’emarginazione, diventando (fin dal XVIII secolo in Giappone) una forma d’arte vera e propria, destinata ad esprimere bellezza, fino a diventare un semplice vezzo estetico o con un significato politico, conservando però la sua valenza di marchio d’identità. Monocromatico o colorato, il tatuaggio necessita di uno sfondo chiaro, quindi in molte popolazioni dalla pelle scura si procede alla scarificazione, un’incisione superficiale della pelle che prevede l’inserimento di piccoli grani, che danno origine a disegni in rilievo che possono essere letti come emblema di bellezza o come un linguaggio simbolico. La carta d’identità di molti abitanti dell’Africa occidentale è incisa sul loro volto fin da bambini, attraverso piccole cicatrici di forma e combinazione diversa nelle guance che indicano il gruppo etnico di appartenenza e il clan di origine.
Il corpo appare quindi come una pagina bianca su cui poter scrivere.

Tratto da IL PRIMO LIBRO DI ANTROPOLOGIA di Elisabetta Pintus
Valuta questi appunti:

Continua a leggere:

Dettagli appunto:

Altri appunti correlati:

Per approfondire questo argomento, consulta le Tesi:

Puoi scaricare gratuitamente questo appunto in versione integrale.