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Modifiche statutarie nelle società per azioni

La società per azioni nasce da un contratto, questa scelta non è imposta da scelte logiche, oggi infatti è possibile la costituzione per atto unilaterale.
Il legislatore prevede che il contratto è modificabile con regole diverse da quelle tipiche del contratto, che sono modificabili solo con l’accordo di tutti, mentre il contratto delle società per azioni è modificabile a maggioranza.
Le clausole oggettive sono modificabili, mentre non possono essere oggetto di modifica quelle parti del contratto che hanno natura soggettiva. Quindi se cambiano i primi soci, non c’è nessuna modifica rilevante dell’atto costitutivo.
La tradizione italiana fino a pochi anni fa era che prima di varare, far acquistare la personalità giuridica ad una società per azioni era necessario il controllo giudiziario, omologazione, successivamente se si modificava il controllo bisognava fare un’ulteriore omologazione delle modifiche.

L’attuale sistema è parzialmente diverso, è stata introdotta una semplificazione che fa si che ci si avvalga del controllo sostanziale da parte di un notaio. Se il notaio rileva che la decisione assunta dall’organo sociale competente ha prodotto un risultato che non è conforme alla legge, allora il notaio blocca il procedimento di iscrizione della delibera di modifica, sottopone la questione al tribunale, che in seconda battuta fa quell’esame di omologazione per verificare la conformità delle modifiche del contratto alla legge. È rimasto un sistema di verifica che passa in un primo accertamento in capo al notaio e produce un controllo giudiziario solo se lo ritiene il notaio.
Nel nostro sistema l’omologazione anche se fatta dal tribunale, non significa piena legittimità della clausola di modifica.
Questo principio mantiene una certa incertezza sulla legittimità di alcune clausole ed erode alcune vantaggi che la riforma del 2003 ha sbandierato. La riforma del 2003 ha come obiettivo aumentare l’autonomia statutaria, ma se c’è l’incertezza di alcune clausole dell’autonomia statutaria, ci sono delle ragioni di insicurezza che rendono meno appetibile l’esercizio del potere dell’autonomia.
Se una società inserisce una clausola che sposa una tesi in un atto costitutivo e ottiene l’omologazione dal tribunale, la clausola può comunque essere attaccabile.
Tradizionalmente nel sistema italiano tutte le modifiche oggettive dell’atto costitutivo richiedevano l’intervento dell’organo rappresentativo della generalità dei soci. Questo principio ha subito delle eccezioni perché in passato si è ammesso per l’assemblea di delegare i suoi poteri di modifica agli amministratori (es. aumento di capitale), però bisogna fissare dei “paletti” di tempo e ammontare. La riforma del 2003 ha introdotto una possibilità di prevedere nello statuto ex ante un certo numero di modifiche statutarie direttamente realizzabili dal Consiglio di Amministrazione e nel sistema dualistico da parte del Consiglio di Sorveglianza. L’art.2365 2 comma indica tutte quelle modifiche che possono essere attuate dal Consiglio di Amministrazione.

Il procedimento di modifica dello statuto può avere una serie molto ampia di oggetti, perché le modifiche che possono essere introdotte possono riguardare diritti dei soci, modalità di decisione, apertura e chiusura di sedi. Quindi non si studiano le modifiche andando a vedere qual è l’oggetto della modifica, ma si studia il metodo, il procedimento.
La competenza a deliberare le modifiche spetta all’assemblea in sede straordinaria, è richiesto un certo un certo quorum costitutivo e il quorum deliberativo è fatto in modo tale, per modifica introdotta precedentemente, che si computano i presenti in assemblea. Ci deve essere un numero doppio di consenzienti rispetto a quelli dissenzienti, nelle società quotate. Mentre nelle società non quotate la legge per alcune delibere prevede il raggiungimento non solo della maggioranza qualificata, ma un certo livello di rappresentanza del capitale, ossia 1/3 e per le delibere superstraordinarie occorre più della metà del capitale sociale. Anche nelle quotate per le delibere che riguardano il diritto d’opzione è chiesto più della metà del capitale. La riforma ha introdotto la possibilità di eliminazione della disciplina protettiva del diritto d’opzione quando l’aumento di capitale è in misura non superiore al 10% e quando l’aumento venga fatto con riferimento ad una società che ha titoli di cui è accertabile facilmente la quotazione e l’aumento è fatto ad un livello che corrisponde all’andamento di mercato.
In passato nell’800 francese non si poteva modificare l’atto costitutivo, i soci potevano pretendere che l’oggetto sociale non cambiasse, quando si è introdotto il principio che si poteva modificare l’atto costitutivo si è parlato se si poteva modificare anche l’oggetto sociale, e quando la risposta è stata positiva, è stato introdotto il diritto di recesso per chi non è d’accordo.
In Italia nel codice del 1942 il diritto di recesso era fortemente penalizzato. Il codice del ’42 era stato varato nel periodo fascista dove l’impresa era uno strumento di realizzazione della ricchezza nazionale. Il codice riconosceva il diritto di recesso solo in tre casi, e la quota veniva valutata secondo l’ultimo bilancio approvato che però non evidenziava valori come l’avviamento o valor extracontabili (per le società non quotate). Le clausole che si inventavano una causa di recesso erano nulle.
La disciplina di oggi parte da un’impostazione radicalmente rovesciata: sono stati aumentati i poteri della maggioranza, però è stato previsto che le minoranze che non sono contente se ne possono andare, infine i criteri di liquidazione della quota sono più favorevoli al socio.

L’art 2437 prevede tre categorie di cause:
- cause di recesso legali inderogabili dallo statuto che costituiscono la tutela minima per i soci. Un tempo erano tre e non se ne potevano aggiungere altre, oggi sono 7 e se ne possono aggiungere altre. Qualunque causa che rende più difficile il recesso è nulla
- Cause legali di recesso derogabili dallo statuto: lo statuto può quindi derogarle.
- Cause stabilite dallo statuto, ma questo solo per le società per le quali il legislatore nel 2003 considera più importante tutelare l’interesse del socio a stare in società, piuttosto che il suo interesse a prendere i soldi.
C’è un principio che domina la materia della cause statutarie di recesso: la dottrina prevede che nel silenzio della legge non si può prevedere nella spa una causa troppo libera. È una causa ancora aperta.
La società per azioni può essere stipulata a tempo indeterminato. Il socio con  un preavviso di 180 giorni può esercitare il diritto di recesso. L’atto costitutivo può allungare il diritto di preavviso fino ad 1 anno. Il socio può recedere senza spiegare il perché.

Tratto da DIRITTO COMMERCIALE DELLE SOCIETÀ di Valentina Minerva
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