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Nazione e nazionalismi


Chi produce questa retorica è chi ha il potere di produrla, sfruttando i mezzi di comunicazione da loro gestiti, presentando la cultura come un pacchetto compatto con valori e tradizioni definiti, localizzati e legati al concetto di Stato-nazione o di entità territoriali auspicate: cultura legata al territorio contrapposta all’anticultura di chi viene da fuori. Tale atteggiamento è dovuto in gran parte alla cosiddetta "biopolitica dello Stato moderno", in virtù della quale i diritti dell’uomo inteso universalmente sono soppiantati da quelli del cittadino, sottoposti alla sovranità nazionale. Con una finzione che trasforma la nascita in nazione, i diritti finiscono per essere attribuiti all’uomo solo nella misura in cui egli è il fondamento del cittadino: i rifugiati e gli immigrati rappresentano perciò un elemento inquietante, perché spezzano la continuità tra uomo e cittadino, tra natività e nazionalità.
Creare identità significa anche negarla agli altri, agli esclusi, lasciando emergere una linea di demarcazione tra chi possiederebbe naturalmente la nazionalità di un Paese e i non nazionali: ne è la prova il fatto che, per essere accettati nella comunità, bisogna acquisire una nazionalità, la nostra. L’accesso alla nazionalità avviene in 3 modalità:
1.jus sanguinis: per discendenza;
2.jus soli: per nascita;
3.naturalizzazione: in seguito ad acquisito domicilio.
La storia è spesso manipolata dalle élite, e l’identità evocata da chi sta al potere si fonda spesso sulla storia, su una storia, su quella storia: per costruire un’identità occorre sì una forte dose di memoria, ma anche una forte dose di oblio. Una nazione è una società unita da un errore comune riguardo alle proprie origini e da una comune avversione nei confronti dei vicini.

Tratto da IL PRIMO LIBRO DI ANTROPOLOGIA di Elisabetta Pintus
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