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Paul Henri Thiry d'Holbach

Natura e materia
Amico di Diderot e fra i più importanti collaboratori dell'Encyclopedie, Holbach appartiene all'ala materialistica dell'Illuminismo con forti propensioni verso l'ateismo e il determinismo. La sua opera principale, Le Système de la Nature, è stata considerata la bibbia degli atei. La sua posizione è esplicita: la spiritualità che diventa dogma provoca l'annullamento delle idee perché mette l'uomo davanti ad una sostanza inconoscibile che può essere accolta solo per fanatismo o per costrizione. Decisa e senza ripensamenti è la sua polemica antireligiosa che ingloba anche il rifiuto del deismo e che denuncia le intrinseche solidarietà fra assolutismo politico ed oppressione clericale; la sensazione è anche per lui l'unico criterio della conoscenza e l'interesse l'unico fondamento della morale. Alla contrapposizione fra le realtà entificate della materia e dello spirito, Holbach sostituisce il rapporto tra il fisico ed il morale, un rapporto nel quale tuttavia è il fisico ad avere una preponderante capacità esplicativa delle azioni umane. Sono le combinazioni biologiche che spiegano anche le facoltà superiori dell'uomo che i nostri pregiudizi attribuiscono ad imperscrutabili essenze spirituali. E' vero che i sensi possono trarre in errore ma solo i sensi, nelle loro più complesse articolazioni, riescono a rettificare i giudizi errati o parziali. Lavorare sulla base materiale della vita significa poter migliorare anche il mondo morale dell'uomo mentre la sublimazione delle idee, in particolare quella sublimazione idealistica che è la religione, ci allontana dalla conoscenza della natura di cui siamo creazioni e dalle cui leggi dipendiamo. Gli errori umani non sono per Holbach errori di metafisica ma di fisica e perciò, conoscendo meglio il mondo materiale, l'individuo imparerà non solo a rendere più gradevole la propria vita ma a comprendere meglio gli scopi naturali dell'associazione e del governo e cesserà di sottomettersi senza riserve ad esseri che approfittano del suo errore per asservirlo, corromperlo, renderlo vizioso e miserabile. Gli uomini si sono lasciati troppo a lungo guidare dall'immaginazione, dall'entusiasmo, dall'abitudine, dal pregiudizio e soprattutto dall'autorità e devono invece avere una cognizione più esperta di quella che è la loro natura individuale e particolare.

La critica alla metafisica
Il sapere non può progredire se, come vuole la teologia, la mente degli uomini si occupa di ciò che non è in grado di comprendere. Occorre invece rivolgersi ad oggetti intellegibili, a verità accessibili ai sensi, a saperi utili e, studiando la natura, ci si deve educare ad essere giusti. Lo spirito teologico ritiene che certe cose intellettualmente non spiegabili servano a correggere o a limitare la peccaminosità dell'uomo ed a trattenere gli istinti peggiori. Holbach denuncia la ritrosia dei filosofi illuminati ad estendere alla religione la loro critica alle superstizioni. Essi hanno combattuto i pregiudizi tradizionali e volgari ma non sembrano ancora disponibili a convertire questa lotta in una esplicita negazione dei principi metafisici che li producono. Si vorrebbe fondare la conoscenza sulla ragione e sull'esperienza ma si conservano nella vita umana dei fantasmi che si pensa di avere indebolito, di aver posto sotto controllo e che invece possono riprodursi e manifestarsi con gli stessi effetti nefasti. Ciò spiega perché Holbach rifiuti anche il deismo, che era invece la religione di molti filosofi illuministi, e perché non sia disposto a condividere l'affermazione di Voltaire che "l'esistenza di Dio non ha nulla in comune con le religioni degli uomini". Per Holbach vedere Dio immerso completamente nella natura è sempre un abuso metafisico che non appaga la conoscenza umana, né costituisce una condizione di progresso sociale. Il teista seguace di una religione naturale esercita la sua critica su tutte le altre religioni ma non ha alcuna idea razionale del suo Dio. Lo spiritualismo è il prodotto dell'intervento metodico di quella che lui chiama la "politica dei teologi", una politica che forma ed inculca con atti deliberati idee che non appartengono alla spontaneità dell'esperienza umana. Per questo spiritualismo metafisico l'uomo riceverà in un mondo futuro la conoscenza di quella parte della realtà alla quale deve rinunciare in terra ed avrà delle ricompense o dei castighi a seconda del suo grado di umiltà e di distacco dai beni e dai saperi mondani. Nella logica di Holbach trascendenza e dispotismo hanno una loro intrinseca connessione; c'è quindi un'incompatibilità fra religione e ragione, tra fede ed esperienza. Se la critica alla religione ed alla metafisica si conclude in Holbach con l'ateismo, egli non vuole tuttavia che questa scelta abbia alcun legame con la costrizione. Per lui è un progresso verso l'umanità "permettere a ciascuno di seguire in pace il culto e le opinioni che preferisce", l'importante è che non ci sia una politicizzazione della fede. Se la libertà di pensiero dà agli uomini grandezza d'animo anche in materia religiosa, l'immedesimazione della religione nella politica crea un Dio tiranno che rende gli uomini schiavi e intolleranti; limitare la forza politica della religione è perciò un antidoto contro il fanatismo. Nella sua sistematica polemica contro i principi della fede, Holbach non ha tuttavia molto meditato sul fatto che se tali principi fossero solo il prodotto di costrizioni e manipolazioni, non si spiegherebbe come il fenomeno religioso si perpetui nel mondo nelle più diverse situazioni sociali e culturali. Egli ha difficoltà ad ammettere che il bisogno metafisico possa accompagnarsi, con una sua specifica intensità ideale e morale, all'insieme degli altri bisogni umani e non ha considerato che il senso del mistero non agisce solo come ostacolo alla conoscenza e come relativizzazione delle ambizioni mondane ma può esprimere anche valori accomunanti e sancire la dignità e la sacralità dell'uomo e dei suoi diritti. D'altra parte, per quanto abbia voluto svincolare il concetto di natura dal deismo, Holbach vede la virtù, la scienza, la ragione, la verità come figlie predilette della natura, alla quale è affidato il compito di orientare l'uomo nella ricerca dei valori positivi della vita. Holbach si rivolge alla natura con un certo lirismo e la definisce come un'entità globale che esiste in sé e per sé. Tuttavia il suo materialismo lo induce a sostenere che noi conosciamo solo le cause e gli effetti delle esperienze immediate, solo l'intreccio delle connessioni esteriori, senza possibilità di pervenire all'intelligenza delle cause prime. C'è quindi nel suo pensiero un'irrisolta ambiguità: considerando la natura come una sostanza che comprende tutte le vite e tutte le verità, tale natura viene entificata e munita di una sovranità etica su tutti gli esseri umani; vedendola invece come ambito di esplicazione di fenomeni sensitivi verificabili e misurabili quantitativamente, la natura assume una veste molto più dimessa e rappresenta il mondo delle relatività e delle probabilità. Con il suo sensismo naturalistico, egli ha criticato animosamente gli abusi idealistici ma non è andato alle radici profonde della conoscenza, non ha sondato le regioni più profonde della mente e dello spirito: ha lottato contro il mistero ma non è riuscito a distruggerlo.

Politica e bisogni sociali
Dall'insieme delle sue premesse teoriche Holbach trae delle implicazioni anche sul piano politico e sociale. L'autorità può essere un deposito di pregiudizi, di mistificazioni, di arbitri che ostacolano il progresso e ledono i diritti umani e perciò una politica ragionevole deve chiedere ai sovrani che essi imparino a governare, cioè ad essere giusti, rispettare la dignità degli individui e dei popoli, sottomettersi ai dettami della giustizia, rendere la legge uguale per i forti e per i deboli. La politica deve fondarsi sui bisogni della società ed il potere non è un principio ontologico che si autolegittima bensì una funzione da valutare in relazione ai vantaggi tangibili che procura alla società. Da Montesquieu Holbach riprende l'idea che il potere ha in sé connaturata una tendenza espansionistica e che perciò i diritti dei cittadini devono essere messi al riparo; in qualsiasi mano sia posto, il potere degenera. Anche le riforme, per avere effetti positivi, non devono affidarsi ad autorità assolute che disprezzano il metodo della tolleranza perché i rimedi violenti sono sempre più crudeli dei mali che si vogliono far sparire. Critico delle monarchie assolute fondate sulla sola volontà del despota o sulle oligarchie aristocratiche, Holbach non accede tuttavia a ideali democratici: accetta il principio che il governo legittimo debba fondarsi sul consenso libero della società ma paventa, come la maggior parte degli Illuministi, il potere della populace, sempre per lui matrice di sovvertimento e di tirannia, sempre espropriata dagli intrighi dei demagoghi e dei ciarlatani. Egli propone un sistema di governo rappresentativo fondato soprattutto sul ceto dei proprietari terrieri perché chiunque possiede è interessato al bene comune. La libertà non consente per lui l'uguaglianza, chimera della democrazia, senza riscontro nelle natura, la quale si serve delle disuguaglianze proprio per abituare gli uomini a cooperare e ad accrescere con l'emulazione le risorse complessive della nazione. Le istituzioni devono favorire l'emancipazione della generalità dei cittadini e spetta alle leggi rimediare a disuguaglianze troppo stridenti ed a squilibri sociali troppo ingiusti. L'enorme sproporzione che le ricchezze mettono fra gli uomini è la fonte dei più grandi mali della società; per rendere uno stato felice, il governo dovrebbe impedire che le ricchezze e le proprietà di una nazione si accumulino in poche mani. Sussiste perciò una sostanziale ingiustizia quando la società punisce coloro che la sua negligenza ha privato dei mezzi di sussistenza; le obbligazioni politiche dei cittadini davanti alla legge hanno come presupposto che la società garantisca loro l'educazione necessaria e la possibilità di lavoro e di esercizio della propria industria e delle proprie capacità. Alla denuncia contro le degradazioni imposte alle classi più indigenti, Holbach unisce anche la protesta contro le innaturali inferiorità in cui sono tenute le donne. Amico di Adam Smith, anche egli vede la liberalizzazione degli interessi e delle propensioni particolari degli individui come una condizione della prosperità sociale: la libera intrapresa economica dei cittadini e la possibilità di godere senza timori dei frutti del proprio lavoro è per lui il fondamento di una buona economia e di una buona etica sociale.

La polemica sul lusso
Il perseguimento di tale felicità è tuttavia anche il compito della legge che assume perciò un carattere finalistico e non solo commisurativo del reale. Le passioni non devono essere represse ma bisogna bilanciare quelle che sono nocive con quelle che sono utili alla società; una politica razionale non è che l'arte di scegliere le passioni e combinarle in modo tale che esse concorrano al benessere generale. Per impedire e prevenire i mali della società non basta quindi l'ordine spontaneo ma è necessario fondare attraverso la legislazione una nuova mentalità civile e politica, che induca i governanti a considerare la ragione e la verità come criteri ispiratori dell'esercizio della sovranità. Ci sono "passioni epidemiche" che non possono agire incontrastate nella vita associata e tra queste Holbach mette la passione del lusso come avidità di acquisire ricchezze smisurate per dissiparle o orientarle contro l'interesse pubblico. L'utilitarismo di Holbach va contro lo spirito di rinuncia e di austerità ma egli, a differenza di altri philosophes, non vede il lusso come fattore di incivilimento e di benessere. Nell'ambito dell'Illuminismo francese Holbach rappresenta la dottrina più radicale in senso naturalistico e materialistico. Il meccanicismo ed il determinismo della sua teoria della conoscenza sono tuttavia temperati da una sensibilità critica e morale che sa affermare le ragioni dell'autonomia del pensiero rispetto al conformismo della moltitudine ma sa anche mettersi al servizio di un programma di riforme in cui l'evocazione della natura vale come non assuefazione all'esistente ma come predisposizione di nuove condizioni di vita sociale.

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