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Per un'analisi tipologica delle manifestazioni della flessibilità previdenziale


Il quadro, comunque, si rivela più articolato e ricco di implicazioni se dalla considerazione delle affermazioni di principio si passa all'esame della prassi legislativa.
In proposito, noto è, innanzitutto, il ruolo di strumento di politica economica e industriale, realizzato sia attraverso tecniche di modulazione dell'obbligazione contributiva previdenziale, che attraverso la pratica dei cosiddetti ammortizzatori sociali; sia attraverso forme di agevolazione o sollecitazione dell'uscita dal lavoro, sia, mutate le esigenze, attraverso incentivi al posticipo del pensionamento; sia, infine, attraverso forme di agevolazione all'accesso al lavoro o di compensazione della graduazione dei livelli salariali.
Ed altrettanto noto e frequente è l'impiego di strumenti previdenziali in funzione dichiaratamente assistenziale.
Una prima manifestazione della "flessibilità previdenziale" può essere isolata all'interno di quel variegato complesso di misure adottate per consentire all'ordinamento della previdenza sociale di svolgere il suo ruolo più tradizionale e naturale: cioè, "accompagnare" o fronteggiare il fenomeno del "lavoro che cambia".
Eterogenei non possono che essere, conseguentemente, gli specifici strumenti previdenziali che a quei mutamenti si conformano o apprestano sostegno, o che di quegli interventi eteronomi di politica occupazionale costituiscono addirittura all'indefettibile presupposto.
Ed è evidente che, in quest'ultimo caso, all'intervento previdenziale di fatto spetta non soltanto la funzione di "accompagnare", bensì soprattutto quella di "indirizzare", "sospingere", "condizionare" i comportamenti delle scelte: cioè soprattutto una funzione premiale.
È, quest'ultimo, il territorio e elettivo della collaudata tecnica della modulazione dell'obbligazione contributiva.
La modulazione contributiva non è detto che venga impiegata soltanto per favorire ed incentivare, in via generale, la creazione di nuova occupazione.
Non sono rare, infatti, le ipotesi in cui la differenziazione delle aliquote contributive viene, viceversa, usata "al rialzo" a fini sanzionatori e disincentivanti: in materia di azioni positive per l'occupazione femminile, l'aggravio dell'onere contributivo per il datore di lavoro che non provveda all'invio del rapporto biennale sulla situazione del personale, suddivisa per sesso; in materia di lavori "atipici", l'aggravio contributivo a carico del datore che violi le norme sul lavoro part-time.
Una diversa tipologia di manifestazioni della "flessibilità" può essere ravvisata nelle ipotesi in cui poteri di intervento regolativo vengono trasferiti dalla sfera del legislatore a quella delle parti sociali o della pubblica amministrazione: così risultando eroso lo storico monopolio della legge, ma, nel contempo, risultando più vicina la fonte regolativa all'oggetto regolato.
In tale ambito possono collocarsi, in primo luogo, misure come l'intervento per atto amministrativo sulle agevolazioni contributive alle imprese del mezzogiorno, sui parametri per il calcolo delle pensioni nel regime generale, quando tanto giustifichino variazioni del prodotto interno lordo o del rapporto contributi-pensioni (cosiddette clausole di salvaguardia).
Nel medesimo contesto può essere idealmente collocata la stessa disciplina della previdenza complementare, per larghissimi spazi del pari affidata all'autonomia collettiva.
E proprio la previdenza complementare, considerata dalla legge come "secondo pilastro" dell'intero edificio previdenziale, assume ulteriore valenza negli ambiti del "principio di flessibilità", se non altro perché fondata sul sistema a capitalizzazione, e, dunque, significativa di una modifica che si vuole strutturale, suscettibile di dare nuova elasticità all'intero sistema: l'abbandono della "monocultura", rappresentata dalla gestione delle risorse finanziarie secondo il criterio della ripartizione, a favore di un sistema misto potenzialmente più resistente ai contraccolpi esogeni prodotti dalle fluttuazioni del fattore demografico e dalla mutevolezza della situazione economica generale.
Infine, il concetto di "flessibilità" può essere utilmente richiamato in relazione ad un ulteriore, distinta fenomenologia: quella rappresentata dai casi, sempre più numerosi, nei quali aspetti della tutela previdenziale vengano, per così dire, "personalizzati" perché rimessi alla scelta discrezionale e alla "manipolazione" del soggetto protetto.
Il riferimento è alle situazioni in cui la legge attribuisce all'assicurato il diritto di scegliere fra più prestazioni previdenziali possibili o addirittura di scegliere regime previdenziale cui assoggettarsi o il regime di calcolo della pensione; di "massimizzare" i benefici assicurativi, attraverso forme varie di opzione per la permanenza in servizio oltre l'età pensionabile, o attraverso l'istituto della ricongiunzione; di scegliere la data del pensionamento per vecchiaia; di "scambiare" il differimento del pensionamento con un incremento retributivo o un più elevato importo del trattamento pensionistico stesso, e così via…
Si tratta di possibilità di impiego delle tecniche previdenziali nelle quali la soddisfazione dell'interesse socialmente rilevante può finire per essere soltanto mediata od occasionale, se non addirittura travalicata dal fine della realizzazione di interessi di mera rilevanza individuale.

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