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Premessa a 'La condizione storico-spirituale dell’odierno parlamentarismo di Schmitt' - Replica a Thoma

La Condizione storico spirituale dell'odierno parlamentarismo

Costituisce un importante saggio Schmittiano,  nel  quale la Premessa, risale al 1926 e fu scritta da Schmitt in replica alla recensione piuttosto polemica che, a firma di RICHARD THOMA, seguì l’uscita originaria dell’opera,  risalente al 1923.
Nella premessa, che è un eccellente sintesi dei motivi teorici principali del saggio, i concetti sono enfatizzati, quasi esasperati, a causa dell’intento che anima Schmitt di controbattere in modo efficace alla virulenta critica portata avanti dal suo recensore.
Schmitt esamina la crisi dell’istituzione parlamentare: la Discussione e la Pubblicità non costituiscono più i principi essenziali del Parlamento, anzi, la fede nella Discussione e nella Pubblicità appare oggi come qualcosa di antiquato.
La Discussione in Parlamento aveva ormai smarrito il suo fondamento spirituale. Non soltanto interessi economici di parte corrompono ogni aspetto della vita pubblica e il mestiere del politico è guardato come quello di uno spregevole affarista; non solo la pubblicità delle discussioni è divenuta una vuota formalità, dal momento che le scelte fondamentali vengono prese in sede di commissioni o di ristretti circoli svincolati dal Parlamento, cosicché si verifica un differimento ed un annullamento della responsabilità; ma la stessa Discussione Parlamentare non è più in alcun modo dialogo teso alla composizione, o alla “ricerca della verità” (come postulavano i teorici illuministi), bensì una vacua rappresentazione teatrale di posizioni contrapposte e irriducibili.
L’intero sistema parlamentare è, in definitiva, soltanto una semplice facciata del dominio dei partiti e degli interessi economici.
Nel corso della loro evoluzione, tanto le istituzioni quanto le idee degli uomini mutano. Se i principi della  Discussione Parlamentare e della  Pubblicità vengono a mancare, Schmitt si chiede in cosa debba consistere il nuovo fondamento dell’odierno Parlamentarismo. Per conoscere le idee e le caratteristiche del Parlamento, bisogna far riferimento ad autori come BURKE, BENTHAM, GUIZOT e MILL e si  potrà constatare che dopo di loro, all’incirca a partire dal 1848, sono state portate avanti certamente numerose considerazioni pratiche, ma nessun nuovo argomento di principio.
Soltanto a partire dai ragionamenti di tali autori, il Parlamento può conservare una superiorità spirituale tanto nei confronti della democrazia diretta, quanto nei confronti del bolscevismo e del fascismo.
Il Parlamentarismo è sempre meglio del bolscevismo e della dittatura, che se venisse eliminato si avrebbero delle conseguenze incalcolabili. Queste riflessioni però non costituiscono il fondamento spirituale del Parlamentarismo.
Tutti gli istituti e le norme in senso specifico parlamentare mantengono il loro senso solo mediante la Discussione Parlamentare e la Pubblicità e quindi diventano incomprensibili se il principio della PUBBLICA Discussione  non trova più considerazione. Si pensi, ad esempio, al principio secondo cui il deputato è indipendente dai suoi elettori e dal suo partito, alla pubblicità dei dibattiti parlamentari, alle immunità dei deputati, ecc..
Il Parlamento, in ogni caso, è vero solo quando la PUBBLICA Discussione viene intrapresa e condotta seriamente.
La Discussione Parlamentare  ha un senso particolare e non significa semplicemente “trattativa”. Nella trattativa ciò che conta non è trovare la ragionevole giustezza, ma calcolare e far valere interessi e probabilità di vincere e valorizzare per quanto possibile il proprio interesse, sono naturalmente accompagnate anche da vari discorsi e dibattiti, ma non dalla Discussione Parlamentare in senso stretto.
Discussione Parlamentare sta a significare uno scambio di opinioni, che è dominato dallo scopo di convincere l’avversario di una verità e giustezza con argomenti razionali oppure di farsi convincere della verità e giustezza. Secondo una formulazione di GENTZ: è proprio di tutte le costituzioni rappresentative che le leggi derivino da una battaglia delle opinioni, non da una battaglia degli interessi.

Alla Discussione Parlamentare appartengono come premesse:
 - delle convinzioni comuni,
 - la disponibilità a farsi convincere,
 - l’indipendenza dal legame di partito,
 - l’imparzialità rispetto agli interessi egoistici.

I partiti oggi non si affrontano più in una Discussione Parlamentare di opinioni, ma come potenze sociali ed economiche le une contro le altre:
calcolano i reciproci interessi e possibilità di potere, e, su questa base reale, fanno compressi e coalizioni. Le masse vengono attirate da un apparato propagandistico, il cui effetto maggiore è basato su appelli a interessi e passioni immediate. L’argomento in senso proprio, che caratterizza la vera Discussione Parlamentare, scompare. Al suo posto, nelle trattative dei partiti, si pongono i calcoli sicuri d’interesse e le possibilità di potere; e nel rapporto con le masse ci si affida a efficaci suggestioni o al simbolo.
Oggi, non si tratta più di convincere l’avversario di una giustezza o verità, bensì di guadagnare la maggioranza e, con essa, dominare.

Perde così significato la grande differenza che CAVOUR indicava tra ASSOLUTISMO e REGIME COSTITUZIONALE e cioè:
 - il ministro assoluto comanda
 - mentre quello costituzionale convince colui che deve obbedire.

CAVOUR affermava che "La più cattiva delle Camere è ancora preferibile alla migliore delle Anticamere. Secondo Schmitt, oggi è piuttosto lo stesso Parlamento che appare come una gigantesca Anticamera presso gli uffici o le commissioni di invisibili potenti". 
In Germania furono sottolineate le ricorrenti carenze ed errori del funzionamento parlamentare:
 - il dominio dei partiti,
 - la loro politica personale non obiettiva,
 - le continue crisi di governo,
 - l’inutilità e la banalità dei discorsi parlamentari,
 - l’abuso delle immunità e dei privilegi parlamentari,
 - il c.d. principio di rappresentanza perda di significato,
 - ecc..

La perdita di importanza del Parlamento, dovuta alla progressiva sfiducia nelle capacità rappresentative di questo organo, è connessa al deflagrare dei conflitti tra interessi partitici ed economici. Così da teatro di Discussione Parlamentare libera e costruttiva di liberi rappresentanti del popolo, il Parlamento diventa il teatro di una divisione pluralistica delle forze sociali  organizzate. Ora tale irruzione dei conflitti tra interessi economici organizzati nelle aule parlamentari è il segnale di una trasformazione ben più profonda, che riguarda appunto il superamento della distinzione, cara al pensiero liberale del secolo XIX, tra sfera economica e sfera politica. L’economia, a cavallo tra i due secoli, aveva palesato la sua incapacità di autoregolarsi e ha pertanto richiesto l’intervento sempre più massiccio dello Stato in ambiti fino ad allora considerati estranei alle sue competenze. Questo processo ha conosciuto un formidabile incremento e una straordinaria accelerazione durante il primo conflitto mondiale.
Le decisioni inerenti all’ambito economico costituiscono il cuore della politica interna e l’idea del laissez - faire, appare definitivamente obsoleta. Lo Stato ormai rivendica una estesa competenza come diretto gestore di imprese, come mediatore di conflitti sociali, come erogatore di servizi.

Secondo Schmitt, se si vuole continuare a credere nel Parlamentarismo, bisognerà almeno indicare degli argomenti  nuovi, bisognerà  ricercare ciò che MONTESQUIEU chiama il “principio” di una forma di Stato o di governo.  Egli, infatti, distinse le forme di governo oltre che in base alla estensione e alle caratteristiche del territorio anche in base al principio (virtù, onore, timore). La monarchia appare come la forma di governo più adatta ai grandi Stati territoriali europei, il dispotismo è la forma di governo più adatta ai popoli orientali, la repubblica ai popoli antichi.


I principi del Parlamentarismo

La democrazia è caratterizzata dal principio della virtù, la monarchia dal principio dell’onore e il dispotismo dal principio del timore.
THOMA, nella sua recensione, non rivela affatto in che cosa consistano i nuovi Principi del Parlamentarismo, presunti così numerosi. Egli si accontenta di citare solo gli scritti e i discorsi di MAX WEBER, HUGO PREUSS e FRIEDRICH NAUMANN degli anni 1917 e seguenti. Per questi liberali e democratici tedeschi, che lottarono contro il sistema di governo dell’Impero, il Parlamentarismo significò essenzialmente e al massimo un mezzo di selezione politica dei capi, una via sicura per eliminare il dilettantismo politico e far giungere al comando politico i migliori e i più bravi. E’ divenuto assai dubbio che il Parlamento possieda effettivamente la capacità di formare una élite politica.
La fiducia nel Parlamentarismo, in un governo della Discussione Parlamentare, è propria del pensiero del LIBERALISMO e non appartiene alla DEMOCRAZIA. Perciò, occorre separare il LIBERALISMO dalla DEMOCRAZIA.

Ogni vera DEMOCRAZIA si fonda sul fatto che, non solo l’uguale viene trattato in modo uguale, ma il disuguale in modo disuguale. Propria della DEMOCRAZIA è, dunque, innanzitutto l’omogeneità e secondariamente l’eliminazione o l’annientamento dell’eterogeneo, ossia di ciò che, in quanto estraneo e disuguale, minaccia l’omogeneità. Ad es. , a partire dal XIX secolo, la democrazia consiste innanzitutto nell’appartenenza ad una determinata nazione, nell’omogeneità nazionale.
L’uguaglianza ha valore sempre solo fintantoché sussiste almeno la possibilità e il rischio di una disuguaglianza. Soltanto le democrazie primitive o gli Stati coloniali costituiscono esempi in cui una comunità, basta a sé stessa sotto ogni riguardo, in cui ciascuno dei suoi abitanti è così simile a ciascun altro fisicamente, psichicamente, moralmente ed economicamente che c’è una omogeneità senza eterogeneità. Poiché alla uguaglianza appartiene sempre anche una disuguaglianza, una democrazia può escludere una parte della popolazione dominata dallo Stato senza cessare di essere democrazia. Così ad es. finora in generale sempre sono appartenuti ad una democrazia anche degli schiavi o degli uomini, i quali, in tutto o in parte, sono stati privati dei diritti e tenuti lontani dall’esercizio della potestà politica, si chiamassero essi barbari, incivili, atei,  ecc.. Colonie, protettorati e simili forme di dipendenza consentono oggi ad una democrazia di dominare una popolazione eterogenea senza farne dei cittadini, di renderla dipendente dallo Stato democratico e, tuttavia, contemporaneamente, di tenerla a distanza da questo Stato. Si dice, infatti, che le colonie sono:
- estero, per il diritto pubblico
- interno, per il diritto internazionale.

E’ un’idea liberale, non democratica, considerare ogni uomo adulto come un cittadino con gli stessi diritti. Questa democrazia universale dell’umanità non domina affatto sulla terra, perché la terra è divisa in Stati nazionalmente omogenei, che al loro interno tentano di realizzare una democrazia sul fondamento dell’omogeneità nazionale e non considerano affatto ogni uomo come un cittadino con gli stessi diritti. Anche lo Stato più democratico, cioè gli Stati Uniti d’America non fa partecipare gli stranieri alla sua potenza  o alla sua ricchezza.
Se si volesse mettere in pratica una democrazia dell’umanità ed eguagliare realmente dal punto di vista politico ogni uomo ad un altro, si sarebbe spogliata l’eguaglianza del suo valore e della sua sostanza, perché si sarebbe tolto ad essa il significato specifico, significato che essa possiede in quanto eguaglianza politica, economica, ecc., in quanto eguaglianza propria ad un ambito determinato. Ogni ambito ha, infatti, le sue eguaglianze e disuguaglianze specifiche.  Inoltre, verrebbe svalutato e diventerebbe qualcosa di indifferente anche l’ambito stesso e, quindi, la stessa politica. Le disuguaglianze non scomparirebbero affatto dal mondo e dallo Stato, ma si ritirerebbero in un altro ambito, dal politico all’economico per esempio, in cui le disuguaglianze si fanno valere con forza spietata.
L’uguaglianza di tutti gli uomini in quanto uomini non è democrazia, ma un determinato tipo di liberalismo.


Il Contrat Social di Rousseau


La costruzione dello Stato del CONTRAT SOCIAL  di ROUSSEAU contiene l’uno accanto all’altro questi due diversi elementi. La facciata è liberale: fondazione della legittimità dello Stato su un libero contratto. Nell’esposizione successiva e nello sviluppo del concetto essenziale, quello della volontà generale, appare che secondo ROUSSEAU, il vero Stato esiste soltanto dove il popolo è così omogeneo da governare in essenziale unanimità. Secondo il CONTRAT SOCIAL nello Stato non possono esserci partiti, né interessi particolari, né differenze religiose, nulla che divide gli uomini, neppure le finanze. Lo schiavo, per ROUSSEAU, denota il non appartenere al popolo, il non uguale, il non cittadino, l’eterogeneo che non prende parte alla omogeneità universale e, perciò, a ragione viene escluso.
L’unanimità, secondo ROUSSEAU, deve necessariamente essere così ampia che le leggi si fanno senza Discussione Parlamentare. Persino giudice e parte devono necessariamente volere lo stesso. Il problema da risolvere è il seguente: perché c’è bisogno di stipulare un contratto, quando unanimità e accordo di tutte le volontà con tutti sono realmente così grandi. Infatti, il contratto presuppone al contrario differenza e opposizione, contrastanti interessi ed egoismi, proviene dal liberalismo. La “volontà generale” come ROUSSEAU l’ha costruita è OMOGENEITA’. Questo è coerente democrazia. Secondo il CONTRAT SOCIAL, lo Stato riposa, nonostante il titolo e nonostante la costruzione introduttiva del contratto,  non sul contratto ma essenzialmente sull’omogeneità. Da essa deriva l’identità democratica di governanti e governati. La democrazia può essere definita come identità di governanti e governati.

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Dettagli appunto:

  • Autore: Angela Consolazio
  • Facoltà: Scienze Politiche
  • Titolo del libro: La condizione storico-spirituale dell'odierno parlamentarismo - a cura di G. Stella - ISBN 88-348-4388-6
  • Autore del libro: Carl Schmitt
  • Editore: G. Giappichelli Editore
  • Anno pubblicazione: 2004

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