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Primi segnali di opposizione contro Chavez


Chavez aveva sempre avuto un atteggiamento critico verso i sindacati e i partiti tradizionali, ormai screditati dalla cattiva gestione della cosa pubblica. I suoi sostenitori provenivano da quei settori della società privi di organizzazione e separati dalla politica tradizionale. Riuscì a mobilitarli in quanto poveri e miseri e non in quanto lavoratori sindacalizzati. Una volta al potere organizzò i settori sociali che si riconoscevano nelle sue idee in strutture nuove, distanti dalle tradizionali forme partitiche: i circoli bolivariani.
Avrebbero dovuto incarnare il nucleo sociale portante della democrazia partecipativa. All’inizio i circoli presero forma nei quartieri, licei, università dove venivano loro attribuiti compiti di ordine politico e ideologico. Erano cellule per la difesa della rivoluzione e per la diffusione dell’ideologia bolivariana
Presto il governo iniziò a farsi molti nemici tra cui l’elite bianca del paese.  Questa non gradiva le proposte dell’esecutivo dirette a una radicale riforma agraria e l’abbandono del programma di privatizzazione del settore petrolifero deciso dal precedente governo. Inoltre temeva la capacità di Chavez di mobilitare i poveri.
Alla fine del 2001 questa crescente opposizione aveva formulato vari piani per un colpo di stato sul modello di Pinochet in Chile. Ci furono molte proteste condotte da forze di opposizione il cui ruolo da protagonista era svolto dall’inedita alleanza tra Fedecameras, il sindacato dei datori di lavoro e Ctv, quello dei lavoratori, legato ad Accion democratica.
Il malcontento raggiunse l’apice quando il governo introdusse 49 leggi radicali per regolare la proprietà terriera, la produzione e la tassazione del petrolio. Una di queste prevedeva il rinvio sine die del piano di Caldera per privatizzare il sistema di sicurezza sociale e nazionale. chi si opponeva a queste misure le giudicava un attacco alla proprietà privata e all’economia di mercato. Tali provvedimenti erano una minaccia per l’elite bianca.
Le marce di protesta divennero scioperi che culminarono con la chiusura di tutti gli esercizi pubblici del paese per 12 ore. Chavez in un discorso disse che il governo non avrebbe esitato a utilizzare le forze armate per appropriarsi dei poteri di emergenza. Il crescente dissenso che Chavez fronteggiava era rappresentato da un fornte di cui faceva parte sia elementi del settore privato che organi di informazione oltre alla chiesa cattolica e i partiti di opposizione contrari alle 49 leggi.
Iniziò anche a crescere il malcontento delle forze armate, poco convinte del loro coinvolgimento nelle rivoluzione bolivariana con il Plan Bolìvar 2000.
Il 18 febbraio 2002 l’ammiraglio Molina, uno dei gradi più alti delle forze armate si unì a coloro che chiedevano a Chavez di lasciare il governo.

Tratto da AMERICA LATINA E STATI UNITI di Filippo Amelotti
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