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Quella cosa chiamata "cultura"


Gli antropologi si avvalgono del metodo induttivo, cioè di un approccio secondo il quale leggi e principi conoscitivi vengono assunti in seguito a un’esperienza empirica: dopo aver soggiornato presso una comunità, deve fare forma ai comportamenti individuali e di elementi che formano quelle che chiamiamo "cultura" o una "società", elementi che gli individui usano tutti i giorni, senza per forza pensarli come strutturati in un insieme organico. Sono gli studiosi a dar loro forma, organizzandoli in ambiti, tipologie, categorie e conferendo loro a volte una coerenza che non sempre hanno.
All’inizio si parlava di cultura al singolare: solo successivamente si iniziò a parlare di culture al plurale, in contrapposizione a una visione unilineare. Con il trascorrere del tempo l’accento si è spostato verso una relazione dialettica tra individuo e gruppo, tra individuo e ambiente in cui vive. Le culture appaiono meccanismi diversi a seconda della chiave che si usa per avvicinarsi a esse.
Sono molte le definizioni di cultura che ci sono state, tutte con una loro coerenza, ma alcune ne danno una visione statica, altri corrono il rischio di reificarla: in generale è difficile perché la cultura è instabile, sfuggevole, propensa al cambiamento, con un carattere irregolare e casuale. L’aspetto dinamico venne messo in evidenza dalla Scuola di Manchester, che propose un’analisi processuale anziché una fotografia delle società, divenuto ancora più evidente nella realtà contemporanea, con i suoi flussi di popolazioni e idee ancora più rapidi e copiosi. L’idea di una comunità radicata su un territorio e di individui legati a una cultura determinata da quella condizione è stata messa in crisi dal concetto di deterritorializzazione, cioè la produzione di nuove culture fortemente sincretiche e di nuovi immaginari, da parte di chi si trova a vivere in realtà lontane da quelle in cui è cresciuto.
Negli ultimi anni si preferisce al termine cultura quello di agency, che indica la capacità degli individui a intervenire nei processi culturali opponendosi a determinate scelte, formulando e proponendo nuove opzioni, non previste dall’immaginario vigente. È molto difficile combinare la necessità di chiarezza, di precisione e un certo grado di assolutezza con l’altrettanto necessario grado di apertura e di indefinitezza a cui la realtà costringe. Le culture sono come cantieri sempre aperti, nei quali si svolge una continua attività di montaggio, smontaggio, costruzione, innovazione, partendo da materiali dati, disponibili sul posto, senza disdegnare apporti esterni se funzionali, con la possibilità di trasformarli a seconda dei gusti degli abitanti.

Tratto da IL PRIMO LIBRO DI ANTROPOLOGIA di Elisabetta Pintus
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