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Rapporti giuridici complessi dedotti in giudizio in via frazionata ed estensione o no del giudicato all'intero rapporto


È da esaminare ora il tema delicatissimo dei rapporti giuridici complessi e delle conseguenze, sul piano dei limiti oggettivi del giudicato, della loro deduzione frazionata nel processo.
Questa categoria si distinguerebbe da quella precedentemente presa in esame poi che in quella si sarebbe alla presenza di due diversi diritti in relazione di connessione per pregiudizialità (cosiddetta pregiudizialità in senso tecnico), mentre in questa ora in esame si sarebbe alla presenza di "un nesso tra un rapporto ed un suo effetto ossia di una relazione tra la parte ed il tutto" (cosiddetta pregiudizialità logica o interna allo stesso rapporto).
Come esempi paradigmatici della categoria ora in esame possono ricordarsi i nessi tra domanda relativa al canone e rapporto di locazione, tra diritto al pagamento della singola rata e credito per l'intero, ecc…
In tutte queste ipotesi il diritto fatto valere in giudizio come petitum è parte o si fonda su un rapporto giuridico più ampio.
Il problema che si pone sembra essere questo: il giudicato si forma sulla singola coppia pretesa-obbligo dedotta in giudizio come petitum o invece necessariamente anche sul rapporto giuridico nel suo complesso ha di cui è parte o su cui si fonda la singola coppia pretesa-obbligo immediatamente dedotta in giudizio?
E in quest'ultimo caso, è necessario che il complessivo rapporto sia fatto oggetto di contestazione dal convenuto?
La dottrina sembra orientata per la prima soluzione, la giurisprudenza per la seconda e la normativa per la terza.
Nel contesto di un discorso volutamente limitato ad evidenziare problemi più che a prospettare soluzioni mi sembrano sufficienti due riflessioni.
La prima è la seguente: in talune ipotesi (e cioè nei rapporti derivanti da contratti a prestazioni corrispettive) la limitazione dell'oggetto del processo e del giudicato alla sola coppa pretesa-obbligo dedotta in giudizio dall'attore rischia di dare luogo a giudicati nella sostanza praticamente contraddittori o comunque ad una contraddittorietà non sopportabile da alcun ordinamento che riconosca il valore del giudicato sostanziale.
La consapevolezza della gravità degli inconvenienti pratici impone di ritenere che, quanto meno nell'ipotesi di rapporti a prestazioni corrispettive, l'oggetto del processo e del giudicato non sia costituito solo dal diritto dedotto in giudizio dall'attore, ma anche dall'intero rapporto contrattuale su cui si fonda sia la prestazione chiesta dall'attore sia la controprestazione che spetta al convenuto.
La seconda riflessione la seguente: il codice di procedura civile del 1942, pur con tutte le sue ambiguità e contraddizioni, ha codificato l'opinione di Chiovenda in tema di limiti oggettivi del giudicato.
Orbene, se si vanno a rileggere le pagine delle Istituzioni di Chiovenda in tema di rapporti giuridici complessi e di deduzione in giudizio di una frazione di tale rapporti, si nota che il sistema di Chiovenda conosceva dei correttivi diretti ad impedire che tramite il processo si possa determinare un'eccessiva frammentazione di rapporti sostanziali unitari.
Tali correttivi erano soprattutto:
l'esplicita affermazione che ove sia dedotto in giudizio un diritto "principale e fondamentale o centrale" di un rapporto complesso, allora "deve ritenersi che oggetto della domanda e del giudicato sia senz'altro e direttamente, insieme col diritto fatto valere in giudizio, anche" l'intero rapporto giuridico complesso;
la spregiudicatezza nell'interpretare in senso estensivo le ipotesi in cui per volontà di legge l'accertamento con autorità di cosa giudicata si estendeva al rapporto complesso di cui era parte la singola coppia pretesa-obbligo dedotta in giudizio dall'attore.

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