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Studio antropologico: l’età collettiva


Il concetto di età di cui ogni società fa uso quotidiano è un prodotto culturale che non viaggia di pari passo con il processo di invecchiamento fisico: quindi, bisogna avere meccanismi che vincolino l’aspetto biologico con quello sociale, come può essere la maggiore età. Non sempre l’età biologica determina l’età sociale. A volte, però, l’età può condizionare i rapporti umani anche in società complesse, come in Giappone, dove gli uomini si dividono in tre categorie fondamentali: i senpai, (senior) i kohai (junior) e i doryo (colleghi), con una divisione basata sul rango, determinato dall’anzianità, che viene non solo dall’età biologica ma anche da quella di assunzione in una ditta, di laurea o di diploma, con un conseguente comportamento diverso degli individui.
Ogni cultura attribuisce alle varie fasi della vita progetti e aspettative diverse, che determinano la struttura sociale e la stratificazione di comunità. In Tanzania l’età dei maschi costituisce il fondamento delle divisioni territoriali, dando luogo a gruppi chiamati villaggi d’età: quando si avvicinano alla pubertà, lasciano l’attività della cura del bestiame di cui si erano occupati prima e raggiungono un villaggio abitato da coetanei poco distante da quello d’origine, dove si dedicheranno alla coltivazione dei campi.
In molte società l’età è organizzata sulla base di un vero e proprio sistema di classi: è un’istituzione culturale e politica, che mette in relazione età biologica ed età sociale, creando una struttura che lega l’età degli uomini ai loro ruoli e ai loro status. Stabiliscono un ordine cognitivo e strutturale all’interno di una popolazione, creando categorie basate sull’età e sulla generazione, come un sistema di parentela, assicurando una regolarità demografica e una stabilità sociale durevole: implica continuità e sostituzione di personale in maniera ordinata e prevedibile, attraverso la collocazione dei nuovi membri al posto di quelli deceduti. Si possono distinguere due modi fondamentali di reclutamento: quello iniziatico, che prevede l’ingresso dei giovani maschi nel primo grado di età in seguito a un’iniziazione collettiva, e generazionale, dove ci sono diversi sistemi complessi di gradi che dividono l’intera vita dell’individuo.
Presso alcune culture l’attribuzione dell’età di un individuo non è solo il prodotto matematico di una sommatoria, ma passa attraverso altri fattori socialmente determinanti, come in Giappone. Le classi di età operano un appianamento delle differenze dovute al diverso sviluppo di ciascun individuo: l’inserimento in un gruppo comporta un livellamento, anche se all’interno ci saranno individui che emergono grazie alle loro doti personali. L’età fisica non corrisponde meccanicamente a un’età sociale, mentale o sessuale, e le classi d’età compiono un appianamento delle differenze individuali e presentano alla comunità un gruppo di uguali, sforzandosi di fare dell’invecchiamento un processo culturale piuttosto che fisico, tentando quindi di arrestare almeno in parte il flusso del tempo, unendo gli uomini in gruppi i cui membri hanno pari diritti e pari status, con segmenti di tempo definiti: l’età non conosce confini territoriali né divisioni di parentela. Nel momento in cui i due sessi iniziano a distinguersi socialmente, anche i sistemi per scandire le loro età differiscono. Nelle società tradizionali in genere le donne non sono inserite in un sistema strutturato di classi di età formale, ma solo informale, determinati da fattori connessi con il processo riproduttivo: pubertà, matrimonio, primo parto, parti successivi, menopausa. Lo status della donna è quindi determinato dal suo essere o non essere una madre, dove l’età biologica non è un elemento fondamentale di calcolo.
Per quanto riguarda la vecchiaia, mentre in occidente ormai è quasi una parola tabù, nelle società tradizionali agli anziani viene attribuito un ruolo importante. Nella nostra società si usa il termine "terza età" per indicare l’abbandono del mondo produttivo: l’anziano è visto come inadatto a compiere qualsiasi attività, improduttivo e passibile di emarginazione.

Tratto da IL PRIMO LIBRO DI ANTROPOLOGIA di Elisabetta Pintus
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