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Teoria dell'incorporazione della norma penale

Teoria dell'incorporazione della norma penale


Secondo un orientamento diffuso soprattutto in giurisprudenza, si tratta di distinguere a seconda che la norma extrapenale sia “richiamata” o meno nella norma penale: se è “richiamata”, essa si “incorpora” nel precetto penale, divenendone parte integrante ed assumendone la natura a tutti gli effetti => teoria dell’incorporazione. L’approccio ermeneutico finisce con il risolversi in una vera e propria “interpretazione abrogatrice” dell’art. 47.3 c.p.
Infatti, la condizione di rilevanza dell’errore sulla lex extrapenale risulta in pratica “impossibile”. Se la norma extrapenale non è richiamata da quella penale, non si vede in quale modo l’errore su di essa possa risolversi in un errore sul fatto previsto dalla lex penale: per incidere sul fatto, l’errore sulla lex extrapenale deve riguardare un elemento della fattispecie normativa, e riferirsi dunque ad una lex in qualche modo “richiamata”; ma se è “richiamata, si dovrebbe ritenere per ciò stesso “incorporata” nel precetto.
Il circolo diviene vizioso e può condurre ad un solo risultato: escludere che si diano errori su lex extrapenale rilevanti per l’art. 47.3 c.p. => ciò che appunto si è verificato nella giurisprudenza della Corte, salvo qualche modesta apertura nelle decisioni più recenti, che sembrano volersi discostare dalla teoria dell’incorporazione.

In realtà, l’art. 47.3 c.p. si riferisce agli elementi normativi, e cioè agli elementi del fatto tipico, la cui percezione assume carattere valutativo e implica il necessario riferimento ad un parametro normativo, ad una “legge diversa dalla legge penale” sulla quale deve cadere l’errore:
esso si risolverà: in un errore sul fatto => ogni volta che la falsa rappresentazione del parametro normativo abbia determinato la rappresentazione di un fatto diverso da quello tipico;
esso si risolverà: in un errore sul divieto => quando abbia determinato la rappresentazione di un fatto corrispondente a quello tipico, e solo diversamente qualificato (come lecito anziché come illecito) da parte dell’agente.

Es. l’errore del mussulmano che ritiene di poter contrarre in Italia un 2° matrimonio è un errore sul divieto: il mussulmano vuole esattamente ciò che l’art. 556 c.p. proibisce (cioè la bigamia) ma suppone che esso sia permesso anche in Italia, quando invece è proibito e punito.
Es. è errore sul fatto quello di chi si risposi attribuendo ad una sentenza straniera di divorzio, non delibata in Italia, l’efficacia di far cessare gli effetti del suo 1° matrimonio: l’agente non vole contrarre un 2° matrimonio oltre al 1°, e quindi non si rappresenta un fatto corrispondente a quello ex art. 556 c.p.
Precisazione: cosa deve intendersi per “legge diversa dalla legge penale”: deve intendersi una legge diversa da quella incriminatrice.

Tratto da DIRITTO PENALE di Beatrice Cruccolini
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