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Tutela paritaria della donna: la L. 903/1977

La tutela paritaria ha assunto, col passare del tempo ed il susseguirsi di diversi interventi legislativi, sempre maggiore importanza, fino ad arrivare alla completa parificazione tra i sessi in ambito lavorativo. Una normativa determinante in tal senso è costituita dalla L. 903/1977: negli anni 70, infatti, i movimenti femminili diedero una notevole spinta sull'argomento della condizione della donna. Il fine della legge è la realizzazione della parità di diritti e il divieto di qualsiasi discriminazione nell'occupazione o nella formazione, salvo i casi di mansioni particolarmente pesanti, individuate dalla contrattazione collettiva, o i casi di attività di moda, arte e spettacolo in cui il sesso femminile è essenziale per la prestazione. Inoltre la donna è tutelata anche sotto il punto di vista retributivo (la parità è collegata alle prestazioni richieste e non a quelle eseguite) e dell'inquadramento professionale (potendo la donna far carriera ed acquisire qualifiche superiori al pari dell'uomo). La legge ha modificato anche l'art.15 dello Statuto dei lavoratori che oggi si scaglia contro qualsiasi discriminazione di sesso, razza e lingua, ponendo nel nulla qualsiasi Altro punto chiave della disciplina antidiscriminatoria è quello sui licenziamenti: la disciplina limitativa degli stessi non si applica ai lavoratori in possesso dei requisiti per la pensione di vecchiaia e la donna, essendo in tal caso prevista una soglia inferiore per il conseguimento di questo tipo di pensione, veniva indirettamente discriminata rispetto ai lavoratori di sesso maschile. Per questo l'art.4 della 903 previde, in un primo momento e prima della pronuncia di illegittimità costituzionale della Corte, la possibilità di scelta della donna di optare per il pensionamento alla stessa età degli uomini. La norma, però, fu ritenuta incostituzionale e venne nuovamente modificata, prevedendo che la tutela contro i licenziamenti non andasse applicata ai lavoratori ultrasessantenni, parificando in tal modo uomini e donne. Le successive riforme pensionistiche, però, hanno innalzato i limiti di età per la pensione di vecchiaia (65 anni per gli uomini e 60 per le donne), attuando quindi una nuova discriminazione e rendendo necessaria l'interpretazione che del vecchio testo dell'art.4 aveva dato la Corte costituzionale: la tutela contro i licenziamenti delle donne si estende fino alla stessa età prevista per il pensionamento degli uomini, senza che la donna manifesti alcuna volontà. 
Infine la L. 903/1977, riconoscendo alcuni diritti al padre lavoratore, ha in un certo senso alleggerito il costo del lavoro femminile, data l'eventuale gravidanza della donna, in quanto solo alla stesa inizialmente venivano riconosciuti diritti legati alla prole, il che comportava un sacrificio notevole per il datore di lavoro. 

Tratto da DIRITTO DEL LAVORO di Alessandra Infante
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