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Tutela penale e libertà religiosa: cenni storici


La scelta di tutelare penalmente la religione, una costante in molti ordinamenti giuridici compreso quello italiano, ha assunto nel tempo forme e modalità distinte.
Presente ampiamente nei codici degli Stati preunitari, essa subisce una svolta determinante nel periodo liberale post-unitario con l’entrata in vigore del Codice Zanardelli (1889).
Quest’ultimo introduce nel Libro II, Titolo II, il Capo II rubricato “Dei delitti contro la libertà dei culti”, i cui artt. 140-143, oltre a proporre una eguale tutela penale per tutti “i culti ammessi nello Stato”,si connotano, in ragione della previsione della punibilità a querela di parte, per la volontà di tutelare la libertà religiosa del singolo.
Di tutt’altro tenore l’impianto proposto dal legislatore del 1930 (Codice Rocco), che indica quale oggetto specifico di tutela la religione in sé e, in ragion del “suo valore sociale”, configurando le violazioni contro di essa come offese ad un interesse pubblico collettivo, non solo stabilisce la punibilità d’ufficio dei “reati contro il sentimento religioso”, ma pone la religione di Stato in una posizione di favore rispetto agli altri culti ammessi.
L’equilibrio normativo così disegnato dal legislatore fascista viene ad alterarsi con l’entrata in vigore della Costituzione repubblicana del 1948 che, pur riproponendo il dualismo normativo art. 7 (Chiesa cattolica)/art. 8 (confessioni religiose diverse dalla cattolica), proprio nel primo comma di quest’ultimo (“tutte le confessioni religiose sono ugualmente libere davanti alla legge”) indica quel cambio di direzione nei rapporti tra Stato e confessioni religiose che non può che ripercuotersi anche sulle forme della tutela penale accordata in questo ambito.
Dottrina e giurisprudenza della Corte Costituzionale non hanno mancato di sottolineare i contrasti che tale assetto proponeva rispetto ai principi costituzionali.
Il definitivo superamento, anche formale, della previsione di una religione dello Stato, ad opera del Protocollo Addizionale all’Accordi di Villa Madama del 1984, favorisce un ripensamento generale dell’assetto normativo vigente, rimarcato dalle indicazioni presenti in alcune delle intese sottoscritte, che in parte si esprimono in favore dell’abbandono di ogni forma di tutela penale e in parte richiedono parità di tutela penale senza discriminazione tra i cittadini e tra i culti.

Tratto da DIRITTO ECCLESIASTICO di Stefano Civitelli
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