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SPAZIO SOCIALE E PROSSIMITÀ MEDIATA
1.1 - Spazio sociale e interazioni comunicative
Gli esseri umani si contraddistinguono dal resto dei viventi per il
necessario bisogno di conoscenza della realtà in cui vivono, col fine di
orientare il proprio comportamento per adattarsi all’ambiente che li
circonda. Ed è proprio questo ambiente che diventa sociale grazie alla
condivisa manipolazione di simboli ad opera delle persone che lo abitano.
Questo processo di condivisa manipolazione simbolica
(potenzialmente definita realtà sociale) può avvenire grazie a sistemi di
conoscenza acquisiti e accumulati nel corso della vita stessa di ogni
individuo; sistemi che dipendono dalla realtà a noi esterna unita al nostro
modo di percepirla e organizzarla in schemi e categorie sociali.
Attraverso i contributi di Bartlett (1932) e di Koffka (1935) intendiamo
gli schemi come strutture cognitive che detengono informazioni su uno
stimolo di conoscenza, utili nel riconoscere e classificare le nuovi
informazioni in entrata dalla realtà esterna. Le categorie, invece, sono
usate per classificare la stessa realtà sociale in un sistema gerarchico con
livelli e sottolivelli specifici in funzione delle situazioni in cui le persone
operano o in base agli scopi da raggiungere (Vallacher e Wegner 1987).
Fu Kurt Lewin (1939), pioniere della psicologia sociale, che per
primo propose l’esistenza di uno “spazio psicologico-sociale”
caratterizzato da tutte le proprietà essenziali di uno spazio reale empirico,
meritante della stessa attenzione di uno spazio fisico, sebbene non sia uno
spazio fisico.
Lewin ha adottato nelle scienze umane e sociali il concetto di
campo, mutuato dagli studi di fisica del suo tempo. Con questo concetto,
egli intende esprimere il fatto che le dinamiche sociali, così come le
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caratteristiche personali, non vanno ricondotte semplicemente agli
individui a cui sono riferite, ma risultano dalla totalità dei rapporti sociali
dei soggetti coinvolti. Per Lewin il campo psicologico di una persona
dipende dall’interpretazione soggettiva che la persona costruisce sul
proprio ambiente sociale, considerando fondamentale il rapporto tra
fattori cognitivi e fattori motivazionali per spiegare il comportamento
sociale.
Questo approccio continuò negli anni successivi ad opera di
ricercatori appartenenti alla Social Cognition (Allport 1968, Bandura
1986, Higgins 1992). Essi diedero il via ad un filone di ricerca sui
processi alla base dell’organizzazione della conoscenza, studi protratti
fino ai giorni nostri, dove la cognizione sociale viene considerata come la
base d’azione di ogni persona, e le motivazioni come motore del
comportamento con cui le persone affrontano la situazione, elaborano
informazioni e comunicano rapportandosi agli altri (Fiske, 2006). Così
come indicato dalla psicologa sociale Susan T. Fiske (1992, p.181):
“pensare è per agire”.
Nello spazio psicologico-sociale appena delineato bisogna
riconoscere il ruolo delle interazioni comunicative fra le persone che
danno luogo ai fenomeni sociali (tra i piø comuni: gli stereotipi, i
pregiudizi e la reputazione, segni evidenti di una costruzione della realtà
sociale in cui noi tutti viviamo). A tal proposito è opportuno indicare cosa
avviene nella realtà sociale “classica” (tipica dell’interazione face to face)
fondata sulla prossimità non mediata da artefatti tecnologici, ma esperita
in modo diretto per mezzo del linguaggio comunicativo.
La comunicazione umana prevede la condivisione di codici
modulati per mezzo del linguaggio (attraverso la comunicazione verbale)
e con significati gestuali (nella comunicazione non verbale); entrambi i
processi sono ancorati alla cultura in cui si attivano e di cui ne sono parte
integrante. Nel contatto diretto, insieme al linguaggio, il comportamento
spaziale costruisce la relazione fra i comunicanti, in quanto forma di
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C a p i t o l o 2
NUOVI MEDIA, NUOVI PAESAGGI SOCIALI
Ho fin qui analizzato l’impatto dell’interrealtà sul comportamento
umano in ambienti virtuali (per tramite dei social networks e della realtà
virtuale), reso possibile grazie all’uso di tecnologie comunicative tipiche
della “società dell’informazione” in cui tuttora viviamo.
Di qui in avanti l’attenzione si sposterà sul ruolo dell’interrealtà
nella modifica di alcune dinamiche psico-sociali e cognitive umane,
dovuta all’integrazione di ambienti digitali con ambienti reali e di vita
quotidiana, in quanto l’interrealtà stessa è caratterizzata dallo scambio
continuo tra le due dimensioni (quella virtuale che influenza la
dimensione reale e viceversa).
2.1 - Conoscenza o Informazione
Prima di definire come i nuovi media, grazie all’uso di tecnologie
comunicative, tendano a fondere le esperienze virtuali a quelle reali in
un’ottica di apprendimento, si rende opportuno chiarire la differenza tra
informazione e conoscenza.
Per informazione si intende l’acquisizione di un dato di realtà
percepito dal soggetto attraverso i sensi, avente un significato utile o
meno al contesto in cui si trova ad operare nel momento di reperimento
dell’informazione. L’informazione è uno dei tanti anelli della catena che
forma la conoscenza, intesa come stato umano in continua evoluzione.
E’ l’intelligenza umana che converte l’informazione in conoscenza,
elaborandola e trasformandola al fine di renderla utilizzabile in qualsiasi
contesto e non solo nello specifico contesto in cui l’informazione stessa è
stata appresa.
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Nel corso della sua storia evolutiva l’essere umano si è sin da
subito adoperato per fronteggiare il carico di informazioni proposto
dall’ambiente al fine di trarne vantaggio, infatti con la costruzione di
artefatti cognitivi l’uomo ha saputo inglobare e rappresentare conoscenza.
Oggi però si rende evidente un cambiamento sostanziale: si è passati da
una situazione in cui le informazioni erano sparse e dovevano essere
necessariamente reperite dall’ambiente (infatti chi le trovava aveva un
vantaggio su chi non riusciva a trovarle) a un contesto dove le
informazioni presenti nell’ambiente sono troppe e a volte anche
ridondanti e non necessarie. In un contesto dove la conoscenza viene
gestita per mezzo di tecnologie per la comunicazione e l’elaborazione
delle informazioni (computer, smartphone, ecc…) bisogna evidenziare
qual è l’impatto che la ricchezza informativa può avere sulla mente
dell’uomo, in quanto proprio in considerazione dell’eccesso di
informazioni disponibili sempre e dovunque grazie alla connessione
internet, occorre considerare le capacità e i limiti del sistema cognitivo
umano nella percezione e nella manipolazione della conoscenza.
E’ ormai di pubblico dominio la distinzione tra memoria a lungo
termine e memoria di lavoro (Atkinson e Shiffrin, 1968): la prima detiene
informazioni enciclopediche su ciò che del mondo sappiamo, in maniera
stabile e duratura; la seconda appare limitata in riferimento alla quantità
di informazioni elaborabili in un dato momento, in quanto vincolata dal
carico di lavoro cognitivo in riferimento al coinvolgimento individuale.
Prima di essere elaborata per diventare conoscenza assodata nella
memoria a lungo termine, l’informazione deve essere necessariamente
elaborata dalla memoria di lavoro. In questa fase di selezione delle
informazioni rilevanti provenienti dall’ambiente (nel nostro caso
l’ambiente digitale), ai fini dello svolgimento di un dato compito, si può
incorrere nell’insorgenza di un sovraccarico dei sistemi cognitivi causato
da un sovraccarico di informazioni.
Queste considerazioni hanno condotto alla concettualizzazione del “data
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C a p i t o l o 3
PROBLEMI ETICI E CONCLUSIONI
3.1 – Aspetti etici dell’interrealtà
Vivendo in un ambiente interreale permeato dalle nuove
tecnologie, si rende opportuno interrogarsi sul rapporto che le persone (in
quanto utilizzatori) hanno con tali strumenti e sul senso di responsabilità
derivante dal loro utilizzo.
Attraverso l’analisi dei risvolti etici dell’interrealtà è possibile
avviare una riflessione su come viene a considerarsi la messa in opera dei
comportamenti umani in un ambiente interreale.
Stando al filosofo morale Fabris (2012) ci troveremmo in un’
epoca in cui gli strumenti tecnologici sono sì in grado di facilitarci la vita
quotidiana, ma ci permettono inoltre di comportarci come se tutto ciò
fosse naturale, parte integrante del nostro comune ambiente “domestico”
(Fabris, 2012, pp.29-30). Effettivamente l’abitare un mondo sempre piø
“semplificato” è avvertito dal senso comune come qualcosa di positivo,
in quanto permetterebbe il controllo di molti processi del vivere
quotidiano (vedasi i Google Glass); ma al contempo resterebbe in ombra
l’interrogativo piø importante: se, e in che modo verrebbe avvertito il
senso di responsabilità dato dall’agire in contesti interreali, per tramite di
strumenti tecnologici. In questo caso la tecnologia dell’interrealtà può
essere usata in modo “corretto” o “sbagliato”? Oppure il giudizio morale
verrà destinato in maniera esclusiva alla responsabilità dell’utilizzatore
finale? Già nella seconda metà del secolo scorso il filosofo Jonas (1979)
proponeva un’etica per la futura civiltà tecnologica, basandosi sul
principio di responsabilità conseguente l’utilizzo di nuove tecnologie.
Seppur vero che a quei tempi non c’erano dispositivi mediali connessi
alla rete internet, il concetto di base appare utile anche ai nostri giorni, in