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Peyote: profilo farmaco-tossicologico e modelli culturali nelle popolazioni indigene nordamericane

La Lophophora Williamsii, chiamata comunemente peyote, è un cactus che cresce nelle alture desertiche del Messico Settentrionale e nell'estremo sud-occidentale degli Stati Uniti, appartiene a quella classe di piante definite "allucinogene".
I primi europei che "incontrarono" il peyote furono i Conquistadores spagnoli: quando giunsero in Messico nei primi anni del 1500 la civiltà azteca che conobbero aveva raggiunto un elevato grado di sviluppo delle sostanze psicoattive, quale eredità della cultura sciamanica paleo-siberiana. Solo verso la seconda metà dell'800 sono iniziate le prime ricerche sulla composizione chimica della droga, le prime indagini fenomenologiche e le prime proposte di usi terapeutici.
Prentiss e Morgan (1895) furono i primi a parlare di autoesperienze e di esperimenti su soggetti sani e a descrivere le sue manifestazioni fisiche, percettive e psichiche. Nel 1889 la Parke Davis & C. introdusse nel suo catalogo la "tintura di Anhalonium Lewinii" (così era allora denominato il peyote) con l'indicazione di "marcata azione fisiologica simile alla stricnina" e la raccomandava come "stimolante e tonico cardiaco nel trattamento dell'angina pectoris". Altri medici descrissero l'uso dell'Anhalonium nella cefalea e nelle nevralgie.
Il peyote è di solito identificato con il suo alcaloide principale, la mescalina, ma essa è solo uno dei quasi 60 alcaloidi che sono stati isolati dal cactus, che Schultes (1983) definì una vera e propria "fabbrica di alcaloidi". Questo rende il peyote una tra le più complesse e variabili piante allucinogene e psicotomimetiche, molti degli alcaloidi infatti sono presenti in quantità sufficiente a determinare effetti farmaco-tossicologici. Questi alcaloidi sono stati classificati in base agli effetti in stricninoidi e morfinoidi ed in base alla loro struttura chimica in feniletilammine e tetraidroisochinoline.
L'isolamento della mescalina (Heffter 1896) e successivamente la sua disponibilità per sintesi chimica (Spath 1919), consentì uno sviluppo più sistematico della ricerca ed ha permesso per la prima volta di studiare in modo dettagliato il fenomeno delle allucinazioni visive che la caratterizzano (successivamente riscontrate anche nell'LSD e nella psilocibina), e gli altri suoi effetti psicotomimetici. Le autoesperienze con la mescalina hanno coinvolto farmacologi, psicologi, antropologi, medici psichiatri ed anche il mondo dell'arte e della letteratura (A. Huxley, H. Michaux, W. Benjamin, etc.) che per sua natura è incline alla ricerca di una dimensione "altra" da quella ordinaria.
Di particolare rilievo è la monografia di H. Klüver (1928) sulla mescalina: ha segnato il passaggio da una fase meramente esplorativa e descrittiva ad una in cui si incominciò ad esaminare i fenomeni indotti dalla mescalina in relazione alle malattie mentali ed in particolare alla schizofrenia.
Il confronto tra la schizofrenia e le esperienze indotte dalla mescalina venne effettuato per molti anni ma il lavoro più approfondito venne sviluppato da Humphrey Osmond e John Smyties (1952) i quali dimostrarono che la mescalina riproduce ogni singolo sintomo maggiore della schizofrenia. Intorno agli anni '60 l'interesse dei ricercatori si è rivolto all'aspetto tossicologico: la tossicità acuta e cronica, la tolleranza, la tolleranza crociata tra LSD, mescalina e psilocibina.
Lo stato visionario indotto dal peyote è fonte di ispirazione artistica per gli indios Huichol della Sierra Madre in Messico, in cui domina il carattere religioso e spirituale e dove è possibile riscontrare tutte le forme geometriche costanti della produzione allucinatoria della mescalina rilevate da Klüver.
A partire dalla fine dell'800 una nuova forma di peyotismo si diffuse tra le popolazioni indiane delle riserve dell'Oklahoma sino ad arrivare alle tribù del Canada occidentale evolvendosi in un sincretismo religioso con il Cristianesimo, la Native American Church che ha significato un rinnovamento e nello stesso tempo una rivalorizzazione della propria "indianità", intesa come appartenenza ad un unico gruppo etnico piuttosto che ad una singola tribù.

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INTRODUZIONE Esistono nell'uomo delle costanti comportamentali che lo accompagnano da sempre ed in un certo senso lo caratterizzano e lo definiscono, come l'impulso artistico e l'impulso religioso, sono comportamenti culturali trasversali, senza distinzioni di razze o popoli. Questi due impulsi sono strettamente connessi ad un'altra "costante", che è la tendenza dell'uomo a cercare, attraverso i metodi più disparati, di modificare il suo stato di coscienza per sperimentare una dimensione "altra" da quella ordinaria. Suoni, danze, canti; pratiche ascetiche fatte di digiuni, preghiere e meditazioni; tecniche di deprivazione sensoriale e di mortificazione fisica e non per ultima, l'ingestione di piante e sostanze vegetali dotate di effetti psicoattivi, per lo più di tipo allucinogeno, sono tra le esperienze più comuni che hanno accompagnato l'uomo nel corso della sua storia alla ricerca dello straordinario e del"altro da sé". L'impiego degli allucinogeni risale a tempi così lontani, tanto che diversi antropologi hanno avanzato l'ipotesi che l'idea stessa della divinità sia nata con essi, in seguito ai loro effetti psichici. L'antropologo Weston La Barre (1972), ritiene che non può essere casuale il fatto che, presso tutti i popoli, i rapimenti estatici e di trance vengano interpretati come fenomeni di carattere mistico, spirituale e religioso e che forse questo fatto è all'origine dell'impulso religioso dell'uomo. L'uomo osservando, sperimentando, arrivò a conoscere l'ambiente vegetale che lo circondava: molte piante erano innocue, altre gradevoli al palato, alcune lo nutrivano, un discreto numero lo facevano stare male, diverse altre alleviavano il dolore e la sofferenza, poche lo uccidevano all'istante, ma pochissime avevano effetti "magici" e "soprannaturali" sul suo corpo e sulla sua mente. E' comprensibile quindi, il perché queste piante siano state divinizzate (la divinità, lo spirito era presente nella pianta stessa), o siano state considerate come un dono lasciato agli uomini dalle divinità ed il loro impiego sia stato riservato a scopo rituale per trascendere la realtà e comunicare con il mondo degli spiriti e degli dei. 1

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Informazioni tesi

  Autore: Livia Andreon
  Tipo: Tesi di Laurea
  Anno: 2002-03
  Università: Università degli Studi di Bologna
  Facoltà: Farmacia
  Corso: Farmacia
  Relatore: Santi Spampinato
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 106

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peyote
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