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Il fallimento del sistema dei controlli interni ed esterni nel caso Parmalat

A poco più di un anno di distanza dal fallimento Cirio, un nuovo default travolge il mercato finanziario italiano. Il soggetto coinvolto è Parmalat, quarto gruppo alimentare in Europa, composto da 213 società distribuite in 30 paesi diversi, attivo non solo nel settore del latte e dei suoi derivati, ma anche in quello delle bevande, dei prodotti da forno e, in misura minore, in quello conserviero.
Parmalat è un gruppo aziendale che si è costruito ed accresciuto poco a poco attraverso uno sviluppo per linee esterne: tra il 1997 ed il 2001, l’azienda guidata da Calisto Tanti ha acquisito imprese in Canada, Australia, Spagna, Stati Uniti, Argentina, Venezuela e Brasile, per un importo complessivo pari a circa 2,4 miliardi di euro.
I finanziamenti necessari per l’espansione internazionale sono reperiti attraverso un’incessante e massiccia serie di emissioni di prestiti obbligazionari fino ad un importo complessivo di 7 miliardi di euro.
I bond sono finiti nei portafogli di molti investitori: gestori di fondi comuni d’investimento, compagnie d’assicurazione, grandi speculatori internazionali, fino al piccolo investitore.
D’altronde, la fiducia degli investitori sembrava ben riposta: i bilanci del gruppo alimentare di Parma beneficiavano della certificazione di amministratori, collegio sindacale e revisori. Le agenzie di rating consigliavano l’acquisto dei titoli Parmalat fino ad un mese dal crollo. Un comunicato stampa diffuso dalla società, non più tardi dell’ 11 novembre 2003, ribadiva “la grande solidità della struttura economico-finanziaria del gruppo”.
Nemmeno un paio di mesi e il caso Parmalat sarebbe esploso in tutta la sua gravità: bilanci non veritieri, falsificati per più di dieci anni, avevano tenuto nascosto alla comunità finanziaria che il gruppo Parmalat, a fronte dei 4 miliardi di euro di liquidità dichiarati, aveva le casse vuote, che i debiti netti erano il triplo di quelli dichiarati, che gli utili erano semplicemente frutto di artificiali operazioni contabili.
Il crollo improvviso della Parmalat ha messo in crisi le regole e la fiducia nel sistema finanziario italiano: l’intero sistema dei controlli sui conti e sulla gestione della società si è rivelato insufficiente. Banca d’Italia e Consob hanno subito dure critiche per non aver vigilato adeguatamente sui risparmi di famiglia, in Parlamento maggioranza ed opposizione si sono rinfacciati errori e connivenze, l’intero sistema bancario ha subito un danno reputazionale enorme, il ruolo delle agenzie di rating è stato messo in discussione.
Con questo lavoro ci proponiamo l’obiettivo di ricostruire il caso Parmalat, provare a capire i processi decisionali aziendali, la struttura di corporate governance dell’azienda di Collecchio, la rete di gatekeepers ed evidenziare quali siano stati i reali motivi che hanno trascinato il gruppo verso l’insolvenza.
Si cercherà di comprendere poi, come sia stato possibile che tutto il sistema dei controlli non sia riuscito neanche ad intravedere la reale situazione del gruppo. Spiegheremo quale sia stato l’anello debole della catena e cercheremo di comprenderne i motivi, con l’obiettivo di fornire le soluzioni più adeguate tra quelle proposte, al fine di colmare le lacune normative che il default ha evidenziato; descriveremo poi criticamente quali soluzioni sono state accolte, seppur ancora in via provvisoria, dall’organo legislativo.
Il lavoro si propone, inoltre, di fare un minimo di chiarezza in ordine alle conseguenze che il caso Parmalat e il relativo fallimento del sistema dei controlli hanno avuto sui mercati finanziari, sul sistema bancario e sui risparmiatori. Analizzeremo nel dettaglio il ruolo che alcuni istituti hanno avuto nella vicenda al fine di capire se gli stessi siano stati vittime, così come sostengono, o corresponsabili del default del gruppo.

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1 Il fallimento del sistema dei controlli interni ed esterni nel caso Parmalat Premessa Le tematiche affrontate nel presente lavoro sono di grande attualità e caratterizzate da una continua dinamica evolutiva: il caso Parmalat, insieme alle altre situazioni di crisi del sistema finanziario internazionale, ha provocato infatti una serie di riflessioni, a tutti i livelli, circa lo stato di salute dei mercati finanziari. A poco più di un anno di distanza dal fallimento Cirio, un nuovo default travolge il mercato finanziario italiano. Il soggetto coinvolto è Parmalat, quarto gruppo alimentare in Europa, composto da 213 società distribuite in 30 paesi diversi, attivo non solo nel settore del latte e dei suoi derivati, ma anche in quello delle bevande, dei prodotti da forno e, in misura minore, in quello conserviero. Parmalat è un gruppo aziendale che si è costruito ed accresciuto poco a poco attraverso uno sviluppo per linee esterne: tra il 1997 ed il 2001, l’azienda guidata da Calisto Tanti ha acquisito imprese in Canada, Australia, Spagna, Stati Uniti, Argentina, Venezuela e Brasile, per un importo complessivo pari a circa 2,4 miliardi di euro. I finanziamenti necessari per l’espansione internazionale sono reperiti attraverso un’incessante e massiccia serie di emissioni di prestiti obbligazionari fino ad un importo complessivo di 7 miliardi di euro.

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Informazioni tesi

  Autore: Luca Bonne
  Tipo: Tesi di Laurea
  Anno: 2003-04
  Università: Università degli Studi di Perugia
  Facoltà: Economia
  Corso: Economia e Commercio
  Relatore: Paola Musile Tanzi
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 183

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