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Cool hunting. Quando la creatività incontra l'azienda

Negli ultimi venti anni l’immaginario culturale delle società avanzate ha giocato un ruolo essenziale nella trasformazione delle identità collettive e individuali. Nella fenomenologia della vita quotidiana si sono sempre più evidenziati filoni di comportamento, intrecci di valori, insiemi di stili di vita che hanno progressivamente acquisito un nome e una dignità teorica: tendenze (trends) e macro-tendenze (megatrends).
Sono così nati gli esperti di tendenze, e l’intera attività di alcuni istituti di ricerca si è fondata sullo studio di questi vettori del cambiamento.
I fenomeni glocali, la convergenza delle culture, la caduta dei valori e l’importanza che il consumo gioca nella vita dell’individuo contemporaneo, stimola riflessioni su come le aziende possano individuare le caratteristiche reali dei propri consumatori e soddisfare i loro bisogni.
Le imprese, soprattutto le multinazionali, stanno sempre più diluendo il consumo nelle forme della vita, imponendo quel “capitalismo culturale” in cui le regole del marketing sono applicate non più e non solo al settore dei beni di consumo, ma a tutte le principali manifestazioni culturali della società.
Una sfida interessante per il marketing moderno, che si sta dirigendo sempre più verso l’uso di strategie umanizzate e “partecipate”, che prendano atto della difficoltà di definire in maniera univoca e duratura il profilo dei nuovi consumatori.
Per raggiungere questi consumatori, le imprese – e parliamo qui di tutte quelle aziende che vivono di immagine e immaginario, cibandosene e contribuendo a costruirlo – sempre più frequentemente fanno ricorso alla figura del cool hunter: ricercatore di mercato, cacciatore di tendenze, spacciatore di creatività, creatore di idee, cool researcher, e tante altre cose insieme.
Si tratta di una nuova figura che ha il compito di monitorare tutti i settori in cui si esprime quello che oggi viene etichettato come lifestyle: un agglomerato di simboli provenienti dal mondo dell’arte, della moda, del gusto, del vivere sociale. La bravura dei cool hunter sta nel farsi testimoni delle novità che confluiscono nell’immaginario culturale in un dato periodo e in un dato luogo al fine di individuare la direzione delle tendenze e di “venderle” alle aziende. La loro forza sta nel condividere i valori, i linguaggi e gli stili di vita propri delle tribù del consumo giovanile, quello oggi più corteggiato dal marketing.
Una professione, quella del cool hunter, ancora alla ricerca di una ragion d’essere, ma che già si è attirata parecchie critiche per il suo essere così a metà strada tra il mondo delle sottoculture e il mondo delle imprese, alimentando dei veri e propri movimenti anticonsumistici determinati a resistere allo strapotere del sistema del branding.
Una professione che qui cercheremo di definire attraverso la ricostruzione dei cambiamenti nei meccanismi del consumo che hanno reso necessaria la sua “nascita” e attraverso la definizione delle metodologie e degli strumenti che la sostanziano.
Una professione che sembra oggi racchiudere quanto di più nuovo il mondo dell’ Impresa Comunicazione può offrire. Descrivere il cool hunting non serve solo ad invogliare i giovani ad intraprendere questo tipo di carriera. Descrivere il cool hunting vuol dire presentare una filosofia, che è quella del “vivere la comunicazione” comunicandola a 360°; filosofia che sta portando al successo gli innovativi istituti di ricerca creativa e le agenzie di comunicazione di ultima generazione.

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5 INTRODUZIONE “Se avessimo una Fantastica, come una Logica, sarebbe scoperta l’arte di inventare…” Novalis, Frammenti, (1772 – 1801) Nel mercato attuale è praticamente impossibile ricondurre il gioco del consumo a due variabili (produttori da una parte e consumatori dall’altra). Intervengono nelle dinamiche di consumo decine di variabili, e tutte importanti, tanto da assimilare la società ad un sistema caotico, non lineare. Queste variabili si alimentano l’una dell’altra, entrando in collisione, incrociandosi, determinandosi a vicenda. La matematica, la logica e la fisica hanno però dimostrato che i sistemi caotici non rimangono sempre tali. A volte il sistema si organizza spontaneamente in una struttura ordinata; questo non vuol dire che sparisce il caos. Significa che questi sistemi diventano sempre più caotici fino a raggiungere una sorta di massa critica caotica, un punto di criticità auto- organizzata. C’è un fattore in gioco nei sistemi caotici che Verhoest aveva chiamato fattore x 1 : è la variabile scatenante, che provoca i cambiamenti. Non è un fattore esterno, è qualcosa di già presente nel sistema, non diverso dalle altre variabili; è questo elemento catalizzatore che scatena l’interazione, che mette in moto la forza che sta dietro all’andamento innovativo. E’ la guida: l’elemento che conduce gli altri elementi al cambiamento, fino a raggiungere il punto di criticità auto-organizzata. 1 In Willis C., Il fattore invisibile, Arnoldo Mondadori Editore, Milano, 1999, pag. 45.

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Informazioni tesi

  Autore: Valentina Fioramonti
  Tipo: Tesi di Laurea
  Anno: 2003-04
  Università: Università degli Studi di Roma La Sapienza
  Facoltà: Scienze della Comunicazione
  Corso: Comunicazione d'impresa
  Relatore: Alberto Abruzzese
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 275

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