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''Licet Romanus Pontifex'' La presunzione di conoscenza dell’ordinamento da parte del Legislatore

La costituzione Licet Romanus Pontifex apre il titolo de constitutionibus del Liber Sextus (VI.1.2.1), opera promulgata nel 1298 con la bolla Sacrosanctae da papa Bonifacio VIII.
In essa sono racchiusi due principi opposti di fondamentale importanza nei rapporti fra norme nel tempo: la norma generale posteriore abroga anche senza farne menzione la norma generale anteriore, viceversa, la norma generale non abroga una precedente norma particolare contraria, purché rationabilis, se non in presenza di un’espressa disposizione revocatoria.
Nell’enunciare il principio abrogativo, oggetto della prima sentenza, Bonifacio VIII ricorre alla massima “Romanus Pontifex iura omnia in scrinio pectoris sui censetur habere”, già ben nota e ampiamente sfruttata dai giuristi del tempo, dandogli al contempo una consistenza normativa senza precedenti. Giustifica invece il differente regime revocatorio fra ius commune e iura propria sancendo, attraverso la formula “quum sint facti et in facto consistant”, la natura fattuale dei diritti particolari, fondamentale canone esegetico presso i giuristi medievali.
Le controversie sull’interpretazione di questa norma di carattere generale, protrattesi fino agli inizi del XX secolo, trovano fondamento nel particolare momento storico in cui l’opera vede la luce, il tardo Duecento caratterizzato da forti tensioni politiche, e nella carismatica figura del pontefice da cui fu promanata.
Gli studi raccolti sul testo normativo ci permettono quindi di considerare l’origine storica ed il significato attribuito dagli interpreti coevi agli scrinia pectoris pontifici, valutare l’effettivo peso del principio abrogativo ad essi sotteso, e sottolineare la chiara apertura del pontefice nei confronti dei diritti speciali, territoriali e personali, in sintonia con la ricerca della veritas propugnata dalla legge divina.
Dall’analisi della costituzione Licet Romanus Pontifex e del relativo materiale interpretativo, che nei secoli ha assunto così vaste proporzioni, si staglia, infatti, un dato incontrovertibile. Il pontefice, che tenga a mente con memoria inesauribile tutto il diritto, o se ne presuma la sua conoscenza ricorrendo ad una fictio iuris, può, quale suprema autorità Ecclesiae, innovare, riformare ed integrare il diritto generale. Può lo stesso, purché ne dichiari espressamente l’intenzione, nei confronti degli iura propria, i quali altrimenti mantengono la loro effettività particolare.
Emerge, dal tenore delle parole, e dall’uso di massime e figure care alla cultura giuridica coeva, la figura di un papa legislatore perfettamente integrato con essa, consapevole dell’esistenza di un ordinamento costituito da molteplici diritti particolari, che egli non intende cancellare fintanto che le norme ad essi riconducibili serbino intatto il carattere della ratio.
Considerando le numerose controversie interpretative medievali che nel Liber Sextus sono risolte con il ricorso a nuova legislazione, in tale costituzione, della quale spicca il carattere generale ed astratto, e alla quale seguono molte altre dello stesso tenore, sembra potersi scorgere una delle prime manifestazioni di quella che sarà, nei secoli successivi, “la progressiva tendenza della legge a costituire la fonte principale del diritto”.

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4 Capitolo 1 Premessa 1.1 Una norma sull’interpretazione La costituzione Licet Romanus Pontifex 1 apre il titolo de constitutionibus del Liber Sextus 2 (VI.1.2.1), opera promulgata nel 1298 con la bolla Sacrosanctae da papa Bonifacio VIII. In essa sono racchiusi due principi opposti di fondamentale importanza nei rapporti fra norme nel tempo: la norma generale posteriore abroga anche senza farne menzione la norma generale anteriore, viceversa, la norma generale non abroga una precedente norma particolare contraria, purché rationabilis 3 , se non in presenza di un’espressa disposizione revocatoria 4 . 1 “Licet Romanus Pontifex, qui iura omnia in scrinio pectoris sui censetur habere, constitutionem condendo posteriorem, priorem, quamvis de ipsa mentionem non faciat, revocare noscatur; quia tamen locorum specialium et personarum singularium consuetudines et statuta, quum sint facti et in facto consistant, potest probabiliter ignorare: ipsis, dum tamen sint rationabilia, per constitutionem a se noviter editam, nisi espresse caveatur in ipsa, non intelligitur in aliquo derogare”. La citazione del Liber Sextus dal Corpus iuris canonici edizione di E. Friedberg, I-II (Leipzig 1879; rist. anast. Graz 1959) è ripresa da O. Condorelli nell’opera “Quum sint facti et in facto consistant”. Note su consuetudini e statuti in margine a una costituzione di Bonifacio VIII, pag. 205. 2 Così denominato perché doveva aggiungersi ai cinque libri che componevano il Liber Extra, collezione di decretali fatta redigere da papa Gregorio IX e promulgata nel 1234, che raccoglieva, armonizzandone il contenuto, le Quinque Compilationes Antiquae, alle quali si univano decretali dello stesso Gregorio IX. Importante il divieto di consultazione (e redazione) di altre raccolte salva autorizzazione della S. Sede contenuto nella bolla di promulgazione Rex pacificus. 3 Sembra doveroso ricordare per chiarire il significato di quest’espressione, quale sia il fine ultimo di un ordinamento giuridico peculiare com’è quello della Chiesa: la salvezza dell’anima. 4 La citazione è dall’opera di O. Condorelli, Quum sint facti et in facto consistant, pag.206.

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Informazioni tesi

  Autore: Enrico Ascani
  Tipo: Tesi di Laurea
  Anno: 2003-04
  Università: Università degli Studi Roma Tre
  Facoltà: Giurisprudenza
  Corso: Giurisprudenza
  Relatore: Emanuele Conte
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 46

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Parole chiave

consuetudine
costituzione
fatto
generale
interpretazione
massima
particolare
rationabilitas
scrinia
statuto

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