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La politica estera dei Governi Craxi

Il primo Governo a guida socialista della storia italiana, presieduto dal segretario del PSI Bettino Craxi, si insediò nell’agosto 1983, e rimase in carica, fatto salvo un “rimpasto” nell’agosto 1986, sino al marzo 1987. In questo periodo, segnato dalle tensioni portate dalla cosiddetta “seconda Guerra Fredda” e da varie altre “crisi locali”, un inedito attivismo nel quadro delle relazioni internazionali fece parlare di un nuovo “profilo emergente” della politica estera nazionale. La diplomazia italiana cercava il riscatto da un periodo (che attraversò la seconda metà degli anni Settanta) di “marginalizzazione” dai principali consessi internazionali: essa poteva ora agire in virtù di una “concordia” dei maggiori partiti sui temi di politica estera, ottenuta grazie ad un lento e graduale processo di “occidentalizzazione” del PCI, e grazie alla nuova importanza che alla posizione geopolitica della penisola fu attribuita in seguito alla decisione atlantica del dispiegamento degli “euromissili”.
Diversi sono gli attori, come in ogni regime democratico, importanti per definire le guidelines di politica estera. All’interno del Governo, sicuramente lo furono più di tutti il Presidente del Consiglio Craxi ed i titolari dei due dicasteri più influenti: il Ministro degli Esteri, Giulio Andreotti, ed il Ministro della Difesa, Giovanni Spadolini.
Nei diversi campi di azione i Governi Craxi si relazionarono in modo differente, ottenendo differenti risultati. Nel processo di costruzione dell’europa l’intransigenza, ovvero l’“euromassimalismo”, di Andreotti, talvolta bilanciato da una linea più “possibilista” di Craxi, guidò l’apporto italiano nelle istituzioni CEE. La convocazione di una Conferenza Intergovernativa, nonostante il rifiuto di un fronte contrario di “Paesi euroscettici” guidato da Margaret Thatcher, fu uno dei maggiori risultati conseguiti dal Governo, nonostante questo verrà fortemente ridimensionato con l’Atto Unico Europeo: trattato minimalista che deluse le aspettative degli “integrazionisti” italiani.
Nel campo delle relazioni transatlantiche l’approccio del Governo fu ottimo, in quanto una delle prime mosse dell’esecutivo a guida socialista fu quella di riconfermare la scelta del dispiegamento degli euromissili: questa fu una mossa riconducibile più alla strategia di politica interna, piuttosto che estera, di Craxi. Egli intendeva creare, dopo essersi assicurato la benevolenza di Washington, un cuneo tra PCI (il quale si oppose al dispiegamento dei missili) e la DC, assicurandosi come unico partner di Governo possibile per il partito di maggioranza relativa. Il tema dell’indipendenza dall’alleato americano, emerso solo in seguito ai fatti di Sigonella, non compromise i rapporti transatlantici: fu richiamato in prevalenza nei dibattiti di politica interna come risultato dell’operato del Governo, ma restò lontano dal costituire un vero e proprio “spartiacque” nella tradizione della politica estera nazionale.
Il Governo Craxi, grazie soprattutto alle iniziative del Ministro degli Esteri Andreotti, ben visto a Mosca, fu un tenace sostenitore del dialogo Usa-Urss, nonostante le rimostranze del Cremlino per la decisione degli “euromissili”. L’Ostpolitik del “tandem” Craxi-Andreotti si fondava, previo il riconoscimento dello “status quo” (dunque dell’esistenza di un blocco socialista) sulla ricerca di una qualche autonomia dei singoli interlocutori per aprire nuovi spazi di manovra: da ciò deriva l’interesse verso i Paesi dell’Europa Orientale. L’insediamento di Gorbaciov portò una ventata di ottimismo in Italia: sia presso l’opinione pubblica che presso la classe politica. Presto l’attivismo in questo particolare ambito dovette però essere accantonato: al riprendere dei negoziati agli alti livelli tra le due superpotenze, l’Italia, come anche gli altri attori secondari, non trovò altro ruolo se non quello di mero osservatore esterno.
La ricerca di un ruolo primario nello scenario del Mediterraneo era necessario per assurgere al rango di “Media Potenza” di carattere regionale. Roma insistette perché fosse riconosciuta l’importanza del “fianco Sud” presso le istituzioni NATO, ovvero l’area della sponda meridionale del Continente europeo, dove l’Italia avrebbe assunto una valenza primaria

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4 1. Introduzione 1.1 Contesto politico interno Quando furono resi noti i risultati delle elezioni politiche del Giugno 1983 1 , non vi fu nulla che stupì gli osservatori più della flessione della Democrazia Cristiana, che ora toccava, con il 32,9% dei consensi, il suo minimo storico. Il PCI registrò una lieve flessione e vi fu un guadagno da parte dei missini e dei repubblicani di un qualche decimale di punto percentuale; e sarebbe rimasto un consulto elettorale del tutto “normale” per i vertici e i simpatizzanti del Partito Socialista (allorché il partito di Via del Corso conseguì un “normale” 11,4%) se non fosse che, resi di pubblico dominio i responsi delle urne, la Presidenza del Consiglio venisse offerta a Bettino Craxi, leader del Partito del garofano. Sicuramente han pagato di più i timori della stabilità di un governo pentapartitico che andava assumendo i tratti di un mosaico sempre più multicromatico, che una strategia politica del neo-eletto Presidente del Consiglio, per quanto non si possa prescindere dai meriti che questi ebbe nell’«attendere il suo momento» 2 una volta rotta in Italia la continuità dei governi a guida democristiana ed il continuo rafforzarsi del polo laico- socialista 3 in seno allo spettro politico del Paese. L’ascesa di Craxi cominciò nel Luglio 1976, dopo che la riunione del comitato centrale del Partito Socialista tenutasi presso l’Hotel “Midas” di Roma lo consacrò Segretario. Erano tempi quelli in cui i quadri del garofano paventavano l’estinzione, indotti a temerla più a causa dell’ascesa del PCI che dall’esiguità di quel 9,6% dei suffragi avuti nelle elezioni politiche di giugno 4 : percentuale che simboleggiava l’incapacità dei quadri dirigenziali di ingrandire il bacino elettorale del partito. Spalleggiato da personaggi di rilievo come Giacomo Mancini, Enrico 1 I risultati delle elezioni per la Camera dei Deputati del 1983 sono i seguenti: la DC conseguì il 32,93%; il PCI 29,89%; il PSI 11,44%; il MSI-DN 6,81%; il PRI 5,08%, il PSDI 4,09%; il PLI 2,89%; il Partito Radicale 2,19%; Democrazia Proletaria 1,47%; altri il 3,21%. I risultati sono consultabili su it.wikipedia.org 2 Ciofi P., Ottaviano F., Il fattore Craxi: dalla prima elezione a segretario agli anni di Cossiga, Datanews, Roma, 1992, pag. 63 3 Cfr. Ciuffoletti Z., Degl’innocenti M., Sabbatucci G., Storia del PSI vol. III. Dal dopoguerra ad oggi, Laterza, Roma-Bari, 1993, pag. 452 4 Cfr. Colarizi S., Gervasoni M., La cruna dell'ago. Craxi, il partito socialista e la crisi della Repubblica, Laterza, Roma-Bari, 2005, pag. 18

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Informazioni tesi

  Autore: Giulio Francesco Virduci
  Tipo: Tesi di Laurea
  Anno: 2005-06
  Università: Università degli Studi di Bologna
  Facoltà: Scienze Politiche
  Corso: Scienze Internazionali e Diplomatiche
  Relatore: Maria Serena Piretti
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 138

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