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Il conflitto in adolescenza. Il caso del drop-out sportivo

L’idea per questo lavoro nasce dall’osservazione di un fenomeno di particolare rilievo e importanza che caratterizza l’attività sportiva in età adolescenziale: l’abbandono precoce dello sport. Sicuramente, tra le cause di ciò si trovano il consumismo, il benessere, lo studio, le distrazioni, ma anche lo sport ha le sue colpe: spesso non si verifica un “abbandono di uno sport”, ma “un abbandono dello sport”. I giovani amano lo sport, soprattutto come occasione di socializzazione e di divertimento: se la società sportiva (o la disciplina scelta) lascia insoddisfatti sotto questo aspetto, molto probabilmente la mancanza di tempo e gli impegni scolastici porteranno l’atleta all’abbandono. Le cause che, stando agli studi condotti, inducono i giovani all’abbandono dell’attività agonistica possono essere riconducibili a molti fattori, come la difficoltà a conciliare lo studio con l’attività sportiva, le divergenze dei genitori, le incomprensioni con gli allenatori, il fatto di non andare d’accordo con i compagni di squadra, i costi troppo elevati, ecc. In tale contesto, è importante il ruolo che giocano oggi le società sportive, che organizzano l’attività agonistica sul territorio e che tendono ad un avviamento precoce allo sport agonistico dei giovani, con selezioni ed allenamenti intensivi che conducono i soggetti scartati a considerarsi fuori dal gioco come atleti di non particolare interesse.
In fase adolescenziale, tutto questo produce un atteggiamento di rinuncia ad ogni pratica sportiva, poiché viene vissuta come fallimentare e, di conseguenza, come fonte di insicurezza. Talvolta, tutto ciò può portare ad effetti ancora più negativi, quando i giovani, per restare a livello competitivo, fanno uso di sostanze che interferiscono nella loro crescita naturale. Secondo alcuni autori, in Italia, un ruolo molto importante nella diffusione dello sport fra le persone e soprattutto fra i minori, lo ha da sempre rivestitoli livello culturale. La mortalità sportiva, l’ingresso ritardato e l’abbandono precoce, sembrano dovuti soprattutto a una bassa scolarizzazione e formazione culturale, ma, nonostante ciò, la scuola italiana sembra ancora oggi molto distante dal riconoscere e sviluppare una reale cultura dello sport che valorizzi il legame tra giovani e attività sportiva. Alcuni imputano il problema dell’abbandono a difetti del giovane d’oggi, troppo appagato da altri interessi, e avrebbe una scarsa attitudine a impegnarsi per qualcosa che costa fatiche e rinunce e non paga immediatamente. Questo lavoro si basa sulla letteratura specifica e sulle ricerche realizzate su questo argomento. Vengono considerati quelli che possono essere giudicati i fattori principali responsabili del fenomeno del drop-out, esaminandoli attraverso l’ottica di un fenomeno caratterizzante, in maniera peculiare, il periodo dell’adolescenza: il conflitto.

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1 INTRODUZIONE “L’attività sportiva in età adolescenziale, soprattutto se praticata a livello agonistico, si innesta su un terreno ricco di capovolgimenti interpersonali e problematiche esistenziali, andando ad influire sui dinamismi intrapsichici e agendo sulle capacità di controllo dell’Io e sulle dinamiche inconsce che in questo periodo subiscono massicci riaggiustamenti” (Zimbardi F., 2003). L’idea per questo lavoro nasce dall’osservazione di un fenomeno di particolare rilievo e importanza che caratterizza l’attività sportiva in età adolescenziale: l’abbandono precoce dello sport. Secondo il “Primo rapporto sulla condizione dell’infanzia e della preadolescenza (2000), sono numerosi i fattori culturali e sociali che allontanano i giovani dallo sport. Non è facile dare una definizione breve, precisa e completa della parola “sport”. Secondo Vittorio Wyss (1980), dal punto di vista medico, si può dire che lo sport è una forma di attività dell’uomo, caratterizzata da un prevalente impegno dei suoi apparati muscolare e scheletrico (e, di conseguenza, cardio-circolatorio, respiratorio e nervoso che fanno loro da primo supporto indispensabile), impegno, questo, di intensità tale da poter essere leggero come quello di un qualunque lavoro leggero o talmente gravoso da raggiungere i limiti estremi di cui la persona è capace. Esiste anche una differenza fra sport ed attività motorie. Questa distinzione consiste nel genere di impegno richiesto: nel termine sport si tende a comprendere un concetto di agonismo, di confronto, di lotta contro un avversario o contro un limite, elementi che, invece, mancano nell’attività motoria. L’attività motoria è svolta per conto proprio, al fine di migliorare o di mantenere buone le condizioni di salute e di efficienza, per cui l’agonismo, il confronto con l’avversario, ecc., possono essere presenti solamente come occasionali fattori integrativi, al fine di rendere più varia e attraente l’attività stessa. L’esigenza agonistica, per contro pretende un costante miglioramento del proprio livello di efficienza, sia dal punto di vista del rendimento dell’organismo che da quello tecnico di esecuzione dell’esercizio. Di qui la necessità di periodi di allenamento e di addestramento più o meno lunghi, faticosi, rigorosi, a seconda del livello che si vuol raggiungere (Wyss, 1980). Si noti però che nel linguaggio corrente un’attività sportiva a questo livello è definita come “sport agonistico”, mentre si usa l’espressione “fare dello sport” anche per intendere solamente un’attività motoria, con un impiego molto confuso dei due termini e dei concetti che comportano.

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Informazioni tesi

  Autore: Chiara Vercellini
  Tipo: Tesi di Laurea
  Anno: 2003-04
  Università: Università degli Studi di Torino
  Facoltà: Psicologia
  Corso: Psicologia
  Relatore: Duccio Scatolero
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 555

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